In un recente scambio a distanza, Samek Lodovici perora una tesi favorevole al pluralismo scolastico (in questo
editoriale), mentre Gian Antonio Stella, nella sua
risposta, fa il contro canto mettendo in guardia dai pericoli di disfacimento sociale che una istruzione diversificasta potrebbe comportare. Ne ha parlato anche Fahre in una
puntata da domani disponibile in podcast.
Qualcuno è rimasto turbato da fatto che si parlasse con una certa noncuranza di "indottrinamento" dei bambini. Ma le alternative all' utilizzo di questo lessico sono forse ancora peggiori.
In fondo trovo paradossalmente onesta la domanda "chi deve idottrinare i bambini"?
Coloro i quali invece si chiedono "bisogna indottrinare i bambini?", affrontano la questione avendo già diviso il mondo tra "buoni" e "cattivi": quelli che "indottrinano" e quelli che no. La cosa mi insospettisce. Anche perchè il passo successivo è noto: verrà presto individuato un "grande buono" presso cui tutti saranno tenuti a ricevere la loro istruzione, l' unica esente dal maligno "indottrinamento". E così, possiamo dire addio alle ricchezze che puo' offrire un opluralismo ben temperato. sarà soppiantato dall' argomento: tu indottrini io no, quindi i tuoi bambini me li prendo io.
Se poi la domanda disturba o suona male la si puo' sempre sostituire con una variazione del tipo "chi ha il diritto ad esercitare le scelte cruciali nell' ambito dell' educazione di un bambino?".
Io rispondo: i genitori. Lo Stato dovrebbe limitarsi a fissare con le sue leggi uno spettro entro il quale i genitori eserciteranno le proprie scelte. Avere idee differenti sull' educazione è così dannoso? Mina la "coesione" sociale? In alcuni casi sì, per esempio nei casi di una società fascista o assimilabile. Opporsi a questa diversificazione è difficile, bisognerebbe dire (magari dimostrandolo) di avere in mano una ricetta oggettivamente ottimale. Non credo a questo genere di realtà oggettive, preferisco la libertà di sperimentare nei limiti di legge.
Mi piace vedere come in questo campo sia proprio la Chiesa Cattolica, per una naturale convenienza sua propria, a sostenere la soluzione più liberale, l' effetto pluralistico che favorisce la sua presenza concreta nella vita sociale si manifesta al massimo grado in questo campo. Il bello è che se fosse l' istituzione dominante, probabilmente sarebbe infastidita da un simile pluralismo. Evviva la chiesa nonostante se stessa allora. Naturalmente sarebbe auspicabile che anche altre istituzioni le si affiancassero arricchendo il ventaglio dell' offerta. Ma dove andarle a trovare in un par terre clientelare incapace di porsi come alternativa credibile?
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Enrico insegna in una scuola statale, fa presente che mai andrà in classe a sostenere che il suo insegnamento è quello veritiero. Gli rispondo.
Enrico, tu forse non andrai in classe a dire "ora vi insegno la verità". Tuttavia, se il padrone che si avvale dei tuoi servizi pretende di formulare la sua offerta in regime di MONOPOLIO COERCITIVO, è un po' come se nei fatti ti costringa a fare cio' che avresti volentieri evitato. Infatti, perchè mai un monopolio se non per il fatto che non esistono alternative credibili? Purtroppo, quanto più si realizza e si tutela una condizione di monopolio, tanto più incorriamo in queste spiacevoli conseguenze.
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Chi si oppone al pluralismo scolastico, nel caso concreto del dibattito linkato il giornalista Gian Antonio Stella, spesso oppone il fatto che, siccome la verità è unica, così deve esserlo pure la scuola.
Mi chiedo, forse che la pluralità di approcci riceva una disconferma dall' unicità del vero? Il vero, per indebolire la libertà, non dovrebbe limitarsi ad esistere, dovrebbe anche essere unico, conosciuto e fermato una volta per tutte. In caso contrario, non solo è compatibile, ma addirittura auspica una sperimentazione differenziata e ampia.
Potremmo dire anche di più aggiungendo che la presenza di una simile sperimentazione è la miglior garanzia di avvicinare proprio quel vero tutti assieme. All' uomo occidentale lo insegna la pratica scientifica, forse che in quell' ambito, una volta dati dei limiti etici, ci si sognerebbe di ridurre la libertà sperimentale?
Se Stella ha delle certezze irremovibili circa il miglior modo per "formare" ed "educare" una persona, puo' ritenersi in dovere di farlo seguendo quel metodo e chiedendo di essere seguito da tutti su quella strada. Nel caso invece in cui abbia anche solo dei piccoli dubbi, il modo più corretto di procedere consiste nel delimitare un intervallo entro il quale lasciare libertà di sperimentazione. Allora mi chiedo se, vista la complessità della materia, sarebbe mai attendibile chi si presentasse a parlarne esente da incertezze o da dubbi? No, questa è una delle poche certezze.