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giovedì 7 giugno 2018

La ciabatta dell’immigrato SAGGIO


La ciabatta dell’immigrato


Perché quando l’economista parla di immigrazione nessuno lo sta a sentire?
In effetti sentendolo spiegare  al “popolo” i vantaggi dell’immigrazione colgo anch’io una nota stonata che mi fa cadere le braccia. Per quanto sia impeccabile nei suoi ragionamenti non sembra davvero aver colto il problema.
L’idiosincrasia verso lo straniero non si traduce molto bene in termini micro-economici, non è (solo) una questione di chi arriva e ci “ruba il lavoro” ma coinvolge due antitetici paradigmi culturali, per comodità li battezzo come “cosmopolitismo” e “comunitarismo”, ma avrei anche potuto chiamarli “economia di mercato” e “economia morale”. O di qua, o di là.
MORALE CONTRO MERCATO
Il cosmopolitismo affida la propria sostenibilità sociale agli incentivi del mercato, il patrono di riferimento è Sant’ Adam Smith, e con lui la schiera di  pensatori radicali che si sono alternati dalla fine del XVIII secolo: “non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi”.
Il comunitarismo affida invece la propria sostenibilità e la contenzione delle devianze agli incentivi della morale, il riferimento costante è quello della religione tradizionale: “il timore di Dio rende prospera la città in cui alligna”.
PRO E CONTRO LA COMUNITA’ MORALE
Il punto di forza del comunitarismo (o “economia morale”) sta nel fatto che tiene sotto controllo cio’ che gli economisti chiamano “esternalità”. Esempio: essere cortesi (creando così benessere diffuso) o abbellire la propria casa (abbellendo così anche il quartiere) sono comportamenti ricompensati in termini di status. Nel piccolo villaggio tutti si conoscono e la fama della persona gentile e di buon gusto è valorizzata al massimo.
Al contrario, il fan dei mercati odia la parola “esternalità”, il solo pronunciarla fa comparire orridi eczemi sulla sua pelle, sì perché se ci affidiamo al mercato l’unico modo per arginare le esternalità consiste nel consegnarsi alla morale (e ci risiamo) o alla burocrazia (peggio che peggio), due fattori da cui il liberale ama girare al largo.
Il film di Frank Capra del 1953 “La vita è una cosa meravigliosa” offre un quadretto delizioso del comunitarismo. George Bailey è un banchiere empatico attento ai bisogni della sua comunità, conosce personalmente i suoi compaesani uno per uno e quando puo’ dà loro una mano concedendo generose proroghe sui pagamenti. Allorché sarà lui sull’orlo del fallimento la comunità intera, ricordandosi della sua opera, si mobiliterà fino al più canonico degli Happy End. Bailey è un tipico esponente dell’ “economia morale”, il suo rivale è l’avido e amorale Mr. Potter, un odioso esponente dell’economia di mercato.
Ma non sono tutte rose e fiori nella piccola comunità, la morale è sempre pronta a trasformarsi in moralismo, in pettegolezzo, in maldicenza, in stimmate sociale. L’empatia, poi, spesso distorce le decisioni prese rendendole miopi poiché assunte senza la necessaria freddezza. Per avere un’idea del comunitarismo avariato leggetevi dei classiconi come “La lettera scarlatta”, oppure “Nostra sorella Carrie”, e se invece volete qualcosa di più recente affidatevi al genio della Margaret Atwood del “Racconto dell’ancella”.
PRO E CONTRO IL MERCATO
Il punto di forza del mercato sono invece le economie di scala: man mano che i mercati si allargano la divisione del lavoro spinta crea miracoli. Giusto ora ho in mano una matita dal costo insignificante per costruire la quale hanno prestato la loro opera lavoratori di almeno tre continenti, gente anonima che non conoscerò mai e che non si conoscerà mai, tutti coordinati unicamente dalla mano invisibile che il Santo ci ha spiegato ben bene oltre due secoli fa. E’ chiaro che la società che hanno in mente i comunitaristi non potrebbe mai e poi mai produrre nulla del genere, le matite Amish hanno prezzi doppi e qualità dimezzata, per usare un eufemismo.
Ma questo anonimato in cui si lavora “non si sa per chi” insieme a “non si sa chi” ha delle cotroindicazioni: è difficile viverci dentro, abbiamo un’identità che chiede di essere riconosciuta e quando manca questo riconoscimento la personalità sfiorisce. Probabilmente anche così si spiega il debole collegamento tra denaro e felicità: siamo ricchi e depressi, forse più depressi dei nostri nonni (che erano più poveri) e dei nostri genitori (che oltretutto non erano nemmeno poi così più poveri di noi). Certo, l’avventura imprenditoriale è esaltante, in un’economia libera ci si puo’ sbizzarrire, ma man mano che la società capitalista avanza, avanza anche il gigantismo delle imprese, pochi soggetti “too big to fail” che sanno “connettersi” al meglio con la burocrazia e, di concerto, soffocare ogni dinamismo sociale. Cio’, purtroppo, rende sempre di più il piccolo imprenditore nient’altro che un lavoratore subordinato… senza i diritti del lavoratore subordinato.
AND THE WINNER IS…
Oggi, grazie alle economie di scala garantite dalla globalizzazione, il “cosmopolitismo” ha schiantato il “comunitarismo”; l’ “economia di mercato” ha schiantato l’ “economia morale”. Il segno di questa vittoria è lo straniero che ci “invade”, questo sconosciuto su cui il mercato globale si è sempre retto e che oggi circola da noi in carne ed ossa.
Ieri era uno sconosciuto anonimo, stava dietro la mia matita, scavava nelle miniere di zinco della Pennsylvania l’occorrente per la ghiera o raccoglieva in Brasile il caucciù per il gommino. Magari agiva attraverso le borse e noi lo chiamavamo di volta in volta “speculatore” o “forza del mercato”. Ci faceva un po’ paura perché sentivamo di non avere più tanto controllo del sistema ma ci adattavamo, era la paura di chi viaggia in aereo, si sopporta sapendo che in auto lo stesso viaggio sarebbe un inferno.
Oggi l’ “anonimia” del mercato internazionale ha un’ulteriore incarnazione: è l’immigrato,  lo sconosciuto con la sua faccia estranea. Dall’ “anonimia” all’ “estraneità”, e noi sentiamo ancor di più il “controllo” venir meno. Veder girare (ciabattare) un’ umanità aliena per le nostre strade reca a molti un disagio che non ha nulla di materiale, un disagio che appartiene anche al vecchietto che vive ormai scudato da una più che decente pensione maturata con il retributivo, un disagio che l’economista non esorcizza certo diffondendosi sui “vantaggi comparati”. E’ il disagio di chi tocca con mano la sconfitta del comunitarismo, l’estinzione dei George Bailey, la fine dell’empatia, della morale e della religione. O almeno di questa roba come architrave del vivere comune.
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PREDICHE INUTILI

PREDICHE INUTILI
Nel film di Frank Capra del 1953 “La vita è una cosa meravigliosa” George Bailey è un banchiere attento ai bisogni della comunità, conosce personalmente i suoi concittadini uno per uno e quando puo’ dà una mano a tutti. Quando sarà sull’orlo del fallimento sarà la comunità a dare una mano a lui. Bailey è un tipico esponente dell’ “economia morale”, il suo rivale è l’avido e amorale Mr. Potter, un tipico esponente dell’economia di mercato. Ma la società morale non sempre è dipinta in modo tanto rassicurante, pensiamo a opere letterarie come “La lettera scarlatta”, o “Nostra sorella Carrie”, oppure ancora il più recente “Racconto dell’ancella” di Margaret Atwood. Il punto di forza delle economie morali è di tenere sotto controllo le esternalità: essere gentili (creando così benessere diffuso), abbellire la propria casa (abbellendo così anche il quartiere) sono comportamenti ricompensati in termini di status. E il mercato come risponde? La sua arma segreta sono le economie di scala. Man mano che il mercato si allarga coinvolge sempre più persone anonime migliorando la sua offerta. Tuttavia, se un prodotto è consumato da migliaia di persone sarà sempre più difficile coordinarsi per un boicottaggio etico, l’economia di mercato scaccia l’economia morale. In un’economia di mercato chi non riesce a sintonizzarsi sui bisogni di culture diverse e chi non apprezza cio’ che hanno da offrire cultura diverse finisce ai margini. Forse anche per questo il tradizionalista rischia di odiare lo straniero e il diverso più in generale, è il segno della sua sconfitta: chi rimpiange l’ “economia morale” come potrà mai apprezzare le prediche con cui l’ “economista di mercato” esalta i benefici dell’immigrazione? Persino se riconosce la bontà degli argomenti non cambierà atteggiamento.
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Revolutionary ideas on how to use markets to bring about fairness and prosperity for allMany blame today's economic inequality, stagnation, and political instability on the free market. The solution is to rein in the market, right? Radical Markets turns this thinking--and pretty much all conventi...
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venerdì 13 aprile 2018

Trafficanti di carne umana

Trafficanti di carne umana

1. I “trafficanti di carne umana” sono persone che trasportano i  migranti consentendo loro di violare le frontiere politiche ed entrare clandestinamente negli stati più ricchi. In Italia ne sappiamo qualcosa perché con i loro barconi hanno condotto sulle nostre coste parecchia gente, e dopo le primavere arabe il flusso di rifugiati si è ulteriormente intensificato, specialmente dalla Siria. Nel 2011 molti paesi hanno firmato un protocollo ONU che li impegna a criminalizzare e perseguire questo contrabbando, cosicché la UE ha intrapreso diverse operazioni militari nel Mediterraneo al fine di concretizzare l’impegno preso. Nella popolazione europea si è man mano diffuso un generico sentimento di condanna morale verso gli scafisti, da qui l’ appellativo infamante di “trafficanti di carne umana”. Ma la cosa non è una prerogativa europea: il primo ministro Australiano ha definito la loro azione un “commercio demoniaco” e loro come “la feccia della terra”. Per molti questa gente trae un indebito vantaggio da persone in condizioni disperate, lo “sfruttamento” che realizzano sarebbe inqualificabile. Per altri non sono mai difendibili poiché agiscono comunque solo sulla base di una logica di profitto, la loro motivazione di fondo sarebbe quindi inquinata in partenza. Per altri ancora a condannarli basterebbe il solo fatto che violano e aiutano a violare la legge di alcuni paesi.
2. Di parere diverso è il filosofo Javier Hidalgo che nel saggio “The ethics of people smuggling” mette in piedi una difesa morale di questo contrabbando. La sua tesi: lo scafismo è un’attività moralmente lecita, almeno fino a prova contraria. Facciamo il caso di Ibrahim, uno scafista che prende in affitto la sua barca e assume degli uomini per trasportare dei migranti, tra i suoi clienti c’è Khaled, un tale in fuga dalla guerra civile libica. Ibrahim è onesto con Khaled sui rischi del viaggio, tuttavia Khaled insiste per salire a bordo. Una volta partiti, se il viaggio andrà liscio, in prossimità di Lampedusa si spegneranno i motori e si lancerà l’allarme sperando in un sollecito recupero. Quand’anche Ibrahim realizzi un profitto da questa sua attività, sembrerebbe un profitto lecito. Oppure no?
3. Innanzitutto sembrerebbe falso che Ibrahim abbia il dovere morale di trasportare gratuitamente Khaled, poiché ci sono dei costi (la barca, lo stipendio dell’equipaggio) e dei rischi (arresto) sarebbe assurdo chiedere tanto, in casi del genere avere un guadagno è moralmente lecito. Anche noi potremmo acquistare uno smartphone meno costoso e con la differenza aiutare i poveri, farlo sarebbe ammirevole ma probabilmente non è dovuto. Certo, c’è una soglia vaga oltrepassata la quale si passa dall’ammirevole al doveroso, ma c’è comunque una soglia. 
4. C’è poi il chiaro consenso di Khaled, è un ulteriore elemento che legittima Ibrahim, d’altronde si tratta di un consenso ragionevole: i rischi che affronta sono controbilanciati dai benefici che potrebbe avere dal vivere in un paese civile. Anche se si tratta di un consenso espresso da persone disperate cio’ non ne inficia l’autenticità. Facciamo un’analogia: se una persona con una malattia letale si sottomette volontariamente ad un’operazione chirurgica rischiosa, il chirurgo è moralmente autorizzato a procedere.
5. Non sembra nemmeno che in tutta questa faccenda ci siano diritti di terzi violati. Potrebbero esserci quelli dei cittadini dei paesi di destinazione: fornire cibo, casa e lavoro a questi disperati è un’operazione costosa che finirà presumibilmente per gravare su di loro. Inoltre, i migranti saranno dei concorrenti sul mercato del lavoro e abbasseranno gli stipendi in molti settori. Tuttavia, l’opinione generale degli studiosi è che esista, almeno in teoria, un dovere per i paesi più ricchi di ospitare i “rifugiati”, e qui Hidalgo cita dei lavori di Michael Walzer, Christopher Wellman e David Miller. Nelle nostre società la concorrenza è qualcosa di tollerabile: non sono, per esempio, autorizzato a condannare moralmente un istituto scolastico solo perché diploma geometri che poi mi faranno concorrenza sul mercato abbassando le tariffe professionali. Quanto ai costi di accoglienza sono imposti dalla fiscalità, non dagli scafisti, eventuali abusi sono da imputare quindi ai governi.
6. Vediamo meglio il concetto appena espresso grazie ad un’analogia: ammettiamo che un bus urbano trasporti dalle periferie al centro un gruppo di poveri destinati ad un soggiornare in un ospizio e che, a causa di questa nuova presenza sul territorio, la richiesta di servizi welfare del quartiere centrale s’impenni. Poiché, poniamo, i servizi sono finanziati con tasse locali è prevedibile che i residenti pagheranno di più. Ma cio’ non significa che l’autobus ha violato una norma morale nel trasportare della gente dalla periferia in centro. O meglio, da parte dei residenti potrebbe aver senso una recriminazione verso chi ha deciso di garantire servizi tanto generosi (e costosi) ma non una recriminazione contro il trasporto pubblico delle corriere. Il principio generale potrebbe essere questo: se un agente A ha certi doveri e un agente B agisce in modo tale che A sia chiamato ad adempiere ai suoi doveri, B non è  condannabile.
7. Bisognerebbe aggiungere il fatto che la definizione operativa di “rifugiato” è parecchio restrittiva, oggi è tale solo chi fugge da una persecuzione sulla base di razza, sesso, religione, opinioni politiche e nazionalità. E chi fugge dalla guerra, dalle malattie o dalla povertà estrema? Queste ultime minacce non sembrano meno severe. Oggi, poi, le ricche democrazie dell’occidente ospitano un numero esiguo di rifugiati, la maggior parte resta ammassata in paesi poveri come Etiopia, Pakistan e Turchia. I siriani, per esempio, sono per lo più in Libano e Giordania. Nel respingerli il nostro retro-pensiero di solito è questo: si tratta di paesi già nei guai, una calamità in più o in meno non cambia la vita. Ma è questo un pensiero che possiamo chiamare etico? Direi di no. Ebbene, l’azione dei “trafficanti di carne umana” compensa in parte questa ingiustizia distributiva.
8. Ma lo scafista-tipo in concreto potrebbe anche ingannare il migrante con cui lavora, d’altronde si opera su un mercato nero, senza tribunali, e cio’ rende lo scafista sospetto a priori. Ma gli scafisti puntano al grano e sarebbe una pessima strategia di business rovinarsi la reputazione. David Spener ha intervistato molti “passisti” e molti migranti sulla frontiera USA-Messico: in genere il passista viene scelto con il passaparola, la reputazione è quindi fondamentale. Van Liempt, Missbach e Sinanu confermano che queste modalità sono le più comuni anche in Europa e Australia. Veronika Bilger, Martin Hofmann e Michael Jandl hanno lavorato sullo specifico della frontiera orientale dell’ Austria dove gli intervistati hanno negato di sentirsi alla mercé dei contrabbandieri. Aggiungerei che spesso i contrabbandieri sono stati migranti irregolari loro stessi e rivedono in chi accompagnano la loro storia, il che crea una certa solidarietà.
9. Altri ritengono che lo scafista “sfrutti” la povera gente facendo i soldi sulle disgrazie altrui con un’attività di stampo criminale, è questa l’opinione di Dimitris Avramopoulos, per esempio, commissario all’immigrazione per la UE. Ma chiariamo il punto tornando alla nostra analogia, poniamo che Ibrahim sia l’unico scafista sulla piazza, magari perché ha fatto fuori fisicamente la concorrenza che lo disturbava, poniamo anche che possa trasportare a Lampedusa Khaled senza rischi per se stesso al prezzo di 1.000 euro ma ne chieda 5.000 prosciugandolo totalmente dei suoi risparmi. In un caso del genere direi che si potrebbe anche parlare di “sfruttamento”. Ma se Ibrahim è uno dei tanti e il suo comportamento è quello descritto all’inizio allora è ben difficile parlare di sfruttamento. Il fatto che gli scafisti agiscano in un mercato nero e che violino la legge non autorizza di per sé a parlare di sfruttamento. Per vedere come stanno le cose nella realtà la parola passa agli studiosi sul campo. Il mercato del contrabbando, proprio perché illegale, non presenta molte barriere all’entrata, chiunque sia sufficientemente coraggioso puo’ provare a fare un viaggio. Spener parla esplicitamente di “assenza di monopoli” sulla frontiere USA-Messico. Bilger, Hofmann e Jandl parlano di “intensa competizione tra gruppi di scafisti nelle varie rotte del Mediterraneo”. Istituti come quello della restituzione del denaro in caso di viaggio fallito non potrebbero esistere in assenza di competizione. Nemmeno la cura reputazionale avrebbe senso. A me sembra che nel campo dei trasporti la concorrenza sul mercato nero sia addirittura maggiore di quella presente nei mercati ufficiali (rotte aeree, autobus, eccetera).
10. Per molti il contrabbandiere è comunque reo di essere un egoista che aiuta il prossimo mosso esclusivamente dall’avidità. Ma perché mai anche in un caso del genere emettere una condanna a tutto campo? Non è forse meglio distinguere tra azione e motivazione? Uno potrebbe anche concludere che se la motivazione è dubbia l’azione resta pur sempre lodevole! Filosofi importanti come Scanlon utilizzano proprio questo paradigma nell’esprimere un giudizio morale. Molti scafisti, di fatto, considerano il contrabbando come un normale lavoro con cui mantenere la loro famiglia, è questa una motivazione insulsa? E’ probabilmente la motivazione che muove gran parte di noi tutti i giorni. Ammettiamo che un giovane ambizioso intraprenda una carriera di prestigio come quella del chirurgo riuscendo nel suo intento di sfondare. Quando questo chirurgo mi asporterà un tumore salvandomi la vita devo forse considerare la sua azione malvagia? Me ne guarderò bene, e questo a prescindere dalle sue motivazioni. Gabriella Sanchez ha intervistato molti passisti che ostentavano solidarietà con la causa dei clandestini, soprattutto perché – lo dicevamo prima – rivedevano in quella gente la loro stessa storia passata. Puo’ darsi che nelle interviste millantassero ma giungere alla conclusione che siano motivati solo dal profitto vuol dire cadere nell’esagerazione opposta.
11. Infine molte persone pensano che infrangere una leggesia comunque immorale. Qui bisogna distinguere tre posizioni: 1) per alcuni c’è un’identificazione completa tra legge e morale, 2) per altri c’è un collegamento tra legge e morale, 3) per altri ancora legge e morale sono due cose diverse. Possiamo trascurare la prima posizione poiché poco ragionevole. La terza è secondo me la più coerente anche se ammetto che la seconda sia la più diffusa. Tuttavia, anche chi sostiene la seconda posizione giustifica in vari casi la violazione delle leggi: chi non ha mai attraversato una strada con il semaforo rosso? Chi non ha mai violato i limiti di velocità? Chi non ha bevuto un goccio prima di mettersi alla guida? Tutti noi violiamo la legge più volte al giorno. A volte il contrabbando è necessario per tutelare i diritti umani di una persona, in questo senso sembrerebbe rientrare tra le violazioni lecite, anzi, oserei dire doverose.
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sabato 17 marzo 2018

LA FIABA DELL'IMMIGRAZIONE

L’immigrazione vista dagli economisti.
In un paese sbarca un numero di immigrati pari al 10% dei nativi. Se il sistema economico è competitivo questa congestione produce una variazione salariale che a sua volta genera incentivi: l’abbondanza di manodopera e il corrispondente basso costo del lavoro attraggono capitale, la maggior domanda aumenta i prezzi attirando nuovi produttori. Nel paese cominceranno ad affluire capitali e produttori fino a che l’economia tornerà di nuovo in equilibrio con prezzi e salari che recuperano i livelli di partenza. Alla fine, a seguito dell’influsso di immigrati pari al 10% della popolazione nativa, tutta la popolazione è di nuovo occupata, il capitale è aumentato del 10%, i salari sono gli stessi di prima, lo stock di abitazioni è aumentato del 10%.
Avvertenza: l’economia è una fiaba ma guai a sottovalutare il valore pedagogico della fiabe.

Questo è il primo di una serie di articoli per avviare una discussione che mantenga l’importante tema dell’immigrazione sui binari di una discussione razionale, non demagogica e, quindi, utile a fornire spunti concreti per la politica dell’immigrazione in Italia e, più in...
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giovedì 15 marzo 2018

L'ALTEZZA NON EREDITATA

L'altezza media dell'immigrato - scarsa - si adegua velocemente a quella del popolo che lo ospita. Di solito per il cibo e le condizioni di salute ma anche per gli stress emotivi che si risparmiano venendo via dai loro problematici paesi.

A new study has shown that migrant populations moving to more affluent countries grow physically taller over…
SCIENCEDAILY.COM

sabato 3 marzo 2018

RIMESSE VS AIUTI

Questa non la sapevo: le rimesse dei migranti dai paesi poveri sono il quadruplo degli aiuti che vengono dai paesi ricchi.
Idea: apriamo i confini e tagliamo gli aiuti.

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