martedì 5 febbraio 2013
Film visto ieri: Gli aristogatti
martedì 22 gennaio 2013
Film visto ieri: Cenerentola
Le “eroine” di Disney non sono mai particolarmente “eroiche”, si limitano a mantenersi di buon umore nonostante le condizioni avverse.
Lo avevo già notato con Biancaneve.
Il bene non consiste nel fare la cosa giusta ma nell’ avere un buon carattere.
Qualcuno si lamenta che sono “passive”, io ci vedo piuttosto il trionfo della virtù sulla deontologia: forgiare il temperamento (che farà la scelta giusta al momento giusto) è più importante che conoscere a menadito i principi a cui uniformarsi (per fare la scelta giusta).
Cio’ consente di collocare il vero bene nel futuro (“e vissero felici e contenti”) prima ancora che nel presente delle vicende narrate. In altri termini: io ci metto la mano sul fuoco che Cenerentola e Biancaneve vivranno “felici e contente”, il buon carattere e la nobile estrazione garantisce loro la felicità.
[… l’ incognita, semmai, sono i Principi. Di loro sappiamo così poco… ma forse basta la garanzia del sangue blu…]
P.S. che noia tutte quelle gag coi topi, specie quando avulse dal contesto narrativo.
P.S. il “buono angelico” (Cenerentola) stravince sul “buono grottesco” (topi); il “cattivo sublime” (matrigna) stravince sul “cattivo grottesco” (sorellastre e gatto lucifero). Insomma, il grottesco non si sposa con Disney.
martedì 8 gennaio 2013
Film visto ieri: La carica dei 101
Menzione speciale alla sigla di testa: grafica optical (le “macchie” si prestano) e musiche schizoidi.
Scatta il ricordo di di Carl Stalling, compositore sottovalutato che John Zorn sdoganò sul finire del secolo scorso. Suoi gli esplosivi commenti musicali ai rapsodici cartoni della Warner.
Il film presenta due civiltà: quella canina e quella bipede, sorprende quanto poco comunichino tra loro. La prima appare comunque superiore.
Tra i cattivi, Crudelia è passata negli annali (il suo clacson fa compagnia a quello di Bruno Cortona), ma io prediligo il segaligno Gaspare (sarà per la voce vellutata di Walter Matthau).
A proposito dell’ inetta coppia Gaspare-Orazio, in almeno due scene (l’ irruzione maldestra in casa altrui e le sedute alienanti davanti alla TV in compagnia dei rapiti) richiamano i villain di Fargo.
Il personaggio di Ronnie, cagnolino obeso che dice sempre “mamma ho fame”, oggi, nella società medicalizzata, non sarebbe praticabile. La sua condizione è da considerare patologica e da esibire solo col filtro di robusti eufemismi.
giovedì 20 dicembre 2012
Film visto ieri: L’ imbalsamatore
… mi fa andar via il latte…
venerdì 7 dicembre 2012
Film visto ieri: Senza scrittori
mercoledì 5 dicembre 2012
La monetina nel cappello di Umberto D.
lunedì 3 dicembre 2012
Biancaneve
Nella prima parte una Biancaneve coperta di stracci ramazza tutto il santo giorno il palazzo della Regina Cattiva che la vorrebbe morta.
Nella seconda parte ramazza tutto il santo giorno la casetta dei sette nani (che la riempiono di coccole).
La terza parte non la vediamo ma scorgiamo sullo sfondo il Castello che ramazzerà felice e contenta per il resto dei suoi anni.
Cinque stelle.
martedì 30 ottobre 2012
Film visto ieri: Hbemus Papam
lunedì 15 ottobre 2012
Rosetta
lunedì 8 ottobre 2012
Funny Games
Gli inserti di meta-cinema non giovano. Ma sul punto ci sono opinioni diversi.
mercoledì 3 ottobre 2012
Europa 51
Se il film non decolla è perché manca una vera “invasata”. Nei panni della mistica Ingrid Bergman, con quel sottofondo di lucidità nordica che si porta sempre dietro, mi spiace dirlo ma non è credibile. A meno che Rossellini ritenga sul serio che la pratica concreta dell’ “amore universale” e del “porgere l’ altra guancia” non siano affatto segnali di follia.
martedì 2 ottobre 2012
Il ladro di bambini
Il Carabiniere Antonio illustra al meglio la psicologia near/far scoprendo che una coppia di bambini nominati sull’ ordine di servizio è ben diversa da una coppia di bambini che ti guarda standoti di fronte.
Il libro della giungla
Mai visto un cartone tanto reazionario.
Che ognuno stia al suo posto! Che ognuno stia coi suoi e si ricordi che è quello che è.
Altro che… “politiche inclusive”, altro che accoglienza e integrazione.
Il rapporto con il diverso è possibile (Baloo e Mowgli, per esempio), piacevole ma condannato alla precarietà. E quando va a gambe all’ aria il saggio (Bagheera) pensa: “ecco, ci siamo, c’ è voluto un po’ di più di quanto pensassi ma ecco che ci siamo…”.
venerdì 16 marzo 2012
La migrazione degli zombi
cinecluMi piacciono gli zombi ma aborro i film horror. Che fare?
Niente paura, da qualche decennio i morti viventi stanno evacuando dalle storie truculente: esiste un filone di film d’ autore tutt’ altro che horror, ma non per questo meno zeppo di “zombi”.
Pensando a una possibile genealogia mi viene da fare i nomi di Kaurismaki e Jarmush (qualcuno c’ infila i Coen). L’ umanità che popola le storie del primo, appena fuoriuscita dal frigorifero sovietico, osserva col ghiacciolo che pende dal naso un mondo che hanno sognato a lungo e che ora sfreccia loro accanto senza degnarli di uno sguardo. Quella del secondo, anziché uscire, entra invece in un esilio letargico trovando un certo sollievo nell’ anticipare il proprio trapasso verso dimensioni più… “anaffettive”.
Oggi alla sparuta pattuglia si unisce il nostrano Sorrentino.
Qui Cheyenne, lo zombi, vince una partita a ping pong in una scena epocale (l’ epoca è quella del “banale memorabile”). Nulla da invidiare alle gag dei portieri scemi di Mistery Train.
Qui lo zombi fatto e finito canta con un aspirante zombi:
Da un po’ di tempo la “pattuglia” ha cominciato a prediligere il “lieto fine”. Anche Cheyenne si “scongela” grazie a una feroce vendetta che noi mammiferi a sangue caldo non capiremo mai fino in fondo (fa camminare nudo nella neve un innocuo vecchietto a suo tempo kapò ad Auschwitz):
Definitivamente “scongelato” puo’ salvare altre anime che aveva contribuito a imprigionare tra i ghiacci:
… lei è la mamma in perenne attesa del figlio che da bravo adolescente dark si era suicidato anni fa coerente con la filosofia “zombificante” dei suoi idoli…
Non so ben dire se questi film possano essere definiti “belli”, probabilmente non piacciono a tutti, di sicuro li sento come i “miei film”, una categoria estetica molto particolare il cui valore non sarei in grado di stimare.
… la storia di Cheyenne non è biografica, ma chi non ha pensato per un attimo a Robert Smith?… Tra gli ultra quarantenni ben pochi, credo…
venerdì 17 febbraio 2012
Non si sevizia così un Paperino
L’ Italia ha prodotto almeno tre grandi film horror: il primo è cosmopolita, Profondo Rosso.
Gli altri due sono horror da campanile: c’ è quello padano e quello terrone.
A proposito di campanile: nell’ Italia anni settanta che andava laicizzandosi il pervertito è sempre il prete, ovvio. Spero quindi che nessuno consideri questo parole uno spoiler sorprendente.
Qui mi occupo del secondo film, quello “terrone”.
Ambientato sotto i ponti che percorrevamo ignari per andare in vacanza.
Sembra incredibile pensare che là sotto potesse esistere qualcosa che non fossero le discariche abusive. Scopriamo invece che abbondano oratori, streghe e fattucchiere.
Una storia avvincente, sembra di vedere De Martino allo storyboard.
Leggendaria la seduzione del bimbo. Su questa scena la mia generazione c’ ha lasciato una tonnellata di diottrie!
Nel dibattito post proiezione ferverà ila diatriba giuridica: ha senso incriminare per tentato omicidio chi si produce nel rituale voodoo della bambolina infilzata? Se sì, la giunonica Florinda Bolkan non la passerebbe liscia.
Certo che nel film, il sentimento perbenista, un tempo tenuto a freno dalla Santa Inquisizione, non bada ai sottili distinguo dei giureconsulti e provvede a una grezza giustizia.
Massacri del genere hanno folgorato Tarantino sulla strada di Damasco facendogli decidere quel che avrebbe fatto da grande.
… tanto poi ne faremo un altro…
… aggrappati piccolino, aggrappati forte… e non disperare: il mondo è pieno di placente…
… lui, all’ insaputa di lei, lo porta dall’ acquirente (“… tanto ne faremo un altro…”)
Trama: lui e lei sono giovani, belli e spiantati: vivono di espedienti, caldo o freddo, sempre all’ aperto; con l’ ottundente bordone del traffico parigino a far da ovatta nelle orecchie e a sbiadire il tipico grugnito francese della banlieu; quando ecco una “visita” inaspettata.
Povere donne, sempre la solita solfa… sembra che debba nascerti un bimbo, prepari il corredino e tutto, ed ecco che te ne nascono due… il secondo alto un metro e ottanta…
Il film si chiude ancora con doglie, travaglio e (ri)nascita (del bietolone); speriamo bene… ma di questi tempi il “bene” e il “male” sono secondari, “sperare” è già tanta roba… lo considero a tutti gli effetti un “… e vissero felici e contenti…” in salsa Dardenne.
F.lli Dardenne – L’ enfant
mercoledì 18 gennaio 2012
Scettri di carta pesta
Mario Monicelli – Un borghese piccolo piccolo
Trama:
Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) è un modesto impiegato alla soglia della pensione in un ufficio pubblico della capitale. La sua vita si divide tra lavoro e famiglia. Con la moglie (Shelley Winters) condivide grandi aspettative per il figlio Mario (Vincenzo Crocitti), neo-diplomato ragioniere, un ragazzo non molto brillante che asseconda volentieri gli sforzi che il padre compie per impiegarlo nello stesso ufficio.
Giovanni si espone nel tentativo di aiutare il figlio, fino al punto di umiliarsi nei confronti dei suoi superiori, iscrivendosi a una loggia massonica che gli consentirà di acquisire amicizie e favoritismi ai quali prima non avrebbe mai potuto accedere.
Proprio quando i tentativi di Giovanni Vivaldi sembrano volgere al successo, il figlio Mario rimane ucciso, colpito da una pallottola vagante esplosa nel corso di una sparatoria successiva a una rapina nella quale padre e figlio si trovano accidentalmente coinvolti.
L'evento tragico e le sofferenze che ne conseguono stravolgono la vita, le convinzioni e la morale dei coniugi Vivaldi. La moglie di Giovanni, colpita da malore, perde la voce e rimane gravemente invalida; Giovanni, accecato dal dolore e dall'odio, si getterà a capofitto in un'impresa solitaria e disperata, che lo porterà dapprima a individuare l'assassino del figlio, quindi a sottrarlo alla cattura della Polizia. Sequestrato l'uomo in una capanna isolata, Giovanni lo sottopone a una violenza cupa e inaudita che lo condurrà lentamente alla morte.
Per Giovanni arriva poi il momento della desiderata pensione e, dopo nemmeno un giorno, la triste morte della moglie oramai gravemente segnata dall'invalidità. Giovanni si prepara con serenità e rassegnazione a vivere la propria vecchiaia, ma uno scontro verbale involontario con un giovane sfaccendato gli farà rivivere quel ruolo di giustiziere che lo ha già portato e forse lo porterà a uccidere ancora.
Al suo meglio la maschera di Alberto Sordi evoca tenerezza e ribrezzo: un dissonante accordo che risuona chiaro in questo film come mai altrove.
Centrifugati da istinti divergenti come l’ autocommiserazione da un lato e la voglia di dissociarci dall’ altro, solleticati nel nostro istinto moralista, lo guardiamo agire impensieriti dalla familiarità con dinamiche che vorremmo tanto estranee al nostro mondo.
Prendiamone una: siamo a tavola (sancta sanctorum della famiglia borghese).
In mattinata Giovanni Vivaldi (Alberto) si è recato in ufficio con una missione: raccomandare al suo capo ufficio il figlio ragioniere per il concorso al Ministero.
Davanti alla pastasciutta il resoconto delle sue gesta è enfatico e ottimista. Si gonfia una bolla che la moglie fa esplodere con una “parolilla” di amaro scetticismo. Il Vivaldi collassa in una crisi di nervi che ne denuncia la fragilità di fondo: fuori dalla porta di casa passa la vita a camminare su un filo.
Ma in che mondo siamo?
Siamo nel mondo in cui il maschio è breadwinner, conduce la sua vita nella giungla d’ asfalto, un ambiente dove l’ evoluzione ha sagomato una super razza: l’ homo hypocritus.
Anche in casa il Maschio breadwinner-razza-Homo Hypocritus, prolunga i riti formali con cui tenere insieme i pezzi della sua fragile porcellana: coltiva la complicità del figlio maschio agitando uno scettro di cartapesta, vanta particolari competenze, ostenta sprezzo verso la donna di casa (che si presta alla commedia) relegandola pubblicamente a esclusive di secondo ordine.
Ma una volta al desco, col bamboccione a perdere il suo giorno altrove, si passa alla sostanza e l’ ottimismo (ipocrita) della volontà è messo a dura prova da una “parolilla” pronunciata da chi detiene uno scettro molto meno visibile ma d’ oro zecchino.
La seconda parte del film è la sconvolgente metamorfosi della dabbenaggine in istinto criminale, quasi che il cumulo di tanta ipocrisia sia destinata prima o poi a far esplodere forme di insana sincerità, vera rappresentazione della banalità del male.
Per qualcuno è anche la spettacolare denuncia del verminaio che sta sotto la pietra di certe vite asfittiche: la vita a cui ci condanna la società borghese.
Il film si presta bene a questa interpretazione (che nel merito s’ incaglia quando considerano gli antidoti e chi si oppone alla somministrazione).
Preferisco allora, per quanto forzata, l’ interpretazione contenuta in nuce nell’ ammonimento che Don Garavaglia ci fece al termine del corso fidanzati 2009: ricordatevi che ora vi sposerete e quindi sarete finalmente in tre. Poi, forse, arriveranno anche i figli.
Ecco, nella famiglia di Alberto mancava qualcuno, cosicché è bastato poco per ritrovarsi soli e con la mente sconvolta.
giovedì 12 gennaio 2012
La parola e il bias
Durante le vacanze ho visto un altro paio di film, innanzitutto il magistrale Segreti e Bugie di Mike Leigh.
La trama è semplice:
Sobborghi di Londra. Hortense (Marianne Jean-Baptiste), trentenne borghese di colore, alla morte della madre adottiva decide di scoprire chi sia la sua vera madre. Scoprirà con molta sorpresa che si tratta di Cynthia (Brenda Blethyn), sfiorita operaia bianca che vive con sua figlia ventenne Roxanne (Claire Rushbrook). La misera vita di Cynthia è allietata solo dalle visite che le fa il fratello Maurice (Timothy Spall), fotografo sposato ma senza figli. Dopo l'incontro, tra le 2 donne piano piano nasce una profonda amicizia che rappresenterà per Cynthia un nuovo motivo di felicità (ebbe la bambina ad appena 15 anni) e per Hortense un'occasione per capire una realtà diversa dalla sua. Ma i segreti non possono durare a lungo e ad un pranzo in famiglia la verità verrà fuori, non senza drammi. Sarà l'occasione per confrontarsi e demolire un muro di "segreti e bugie" e per riacquistare la serenità...
Hai voglia a considerare la parola un semplice nominalismo che plana tra noi in forma di fiato.
Altro che fiato, le parole ci costituiscono, sono le nostre ossa.
Ci sono parole che, al solo pronunciarle, resuscitano vite: chi è più a suo agio con le tensioni del linguaggio religioso se ne renda conto grazie alla visione di Ordet (nota verde), chi predilige quello psicologico della modernità non si perda invece Segreti e Bugie.
Maurice cerca la sua parola consapevolmente, ma il vero spettacolo è fornito da chi agisce come sospinto da forze esterne, come Cynthia… o Johannes.
Maurice (con Anna) deve dire: “non possiamo avere figli”.
Cynthia deve dire: “lei [Hortence] è mia figlia”.
Riusciranno a dirlo e a svoltare accorgendosi che nessun fulmine cadrà dal cielo per incenerirli. Il finale è una specie di “… e vissero tutti felici e contenti…” ma dove la felicità consiste nel prendere il tè sulla sdraio coi propri cari nel cortiletto delle case popolari scaldati da un tiepidissimo sole inglese.
Ci si convince proprio che se il multiverso esistesse realmente, probabilmente le nostre “vite parallele” sarebbero separate tra loro dalla sottile ma tenace intercapedine di una parola. Basta pronunciarla per saltare dall’ altra parte.
L’ altro film era “Un maledetto imbroglio”. Pietro Germi lo ha tratto dal romanzo “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana”. E’ del 59, in bianco e nero, ma dal ritmo sembra un film della Pixar dell’ anno prossimo.
Come molti altri gialli sfrutta un ricorrente bias cognitivo: chi perde al gioco della vita deve aver fatto qualcosa per meritarselo.
In effetti, dopo una rassegna di personaggi squallidi, scopriamo che il colpevole, colui al quale Ingravallo dovrà necessariamente rovinare la vita, è anche il soggetto più dignitoso ed empatico.
martedì 10 gennaio 2012
Piacevoli scompensi
Billy Wilder – L’ appartamento
C’ è chi pensa che la musica perfetta sia quella “con tutte le note al posto giusto”.
Ma se le note avessero un loro “posto assegnato”, le musiche sarebbero alquanto prevedibili.
Senonché, il compositore di vaglia, nell’ assemblare il capolavoro, anticipa e ritarda ad arte le “soluzioni naturali” in modo da creare piacevoli e arguti spiazzamenti che si affretta a “compensare”, piccole e continue sorprese all’ interno di una struttura consolidata che lusinga e rassicura l’ ascoltatore.
Non so se questa visione tenga, di sicuro non sembra del tutto estranea quando il focus è sull’ arte di genere: il genere impone dei vincoli e l’ artista è chiamato quindi ad aggirare in qualche modo la pedanteria del prevedibile.
Per operare in corpore vili passiamo dalla musica al cinema prendendo a prestito una scena da “L’ appartamento”, film che mi è capitato di vedere nel corso delle vacanze.
Siamo al cospetto di una potente macchina hollywoodiana nel “ramo” commedie brillanti, un ingranaggio lubrificatissimo e inesorabile.
La storia segue un canovaccio scontato e il finale è intuibile già dopo un quarto d’ ora di visione. Non sono esattamente le premesse al “capolavoro”, eppure…
Chi non conoscesse la trama puo’ farsene un’ idea su Wikipedia:
Il contabile C.C. Baxter, dettoCiccibello, impiegato in una grossa compagnia di assicurazioni americana, riesce ad accattivarsi le simpatie dei dirigenti della sua azienda prestando loro, per scappatelle extraconiugali, il piccolo appartamento ove vive (durante i brevi incontri amorosi dei temporanei "subaffittuari" Baxter va a spasso per la città). Tutto procede felicemente finché Baxter non si innamora di Fran Kubelik, graziosa lift-girl, una delle signorine in uniforme che manovrano i grandi ascensori del palazzo aziendale. Presto però egli scopre che questa è l'amante del capo del personale, Jeff D. Sheldrake,[2], il quale, dietro consiglio di un collega, si rivolge proprio a lui per ottenere anch'egli l'uso dell'appartamento alla bisogna amorosa. La riluttanza di Baxter viene vinta grazie ad una promozione piuttosto cospicua (da anonimo contabile, il cui posto di lavoro è un'altrettanto anonima scrivania fra le tante allineate in più file nel salone dei contabili della società, ad assistente del capo del personale, con un ufficio tutto per lui). Ma qualcosa va storto e durante un incontro fra Jeff e Fran nell'appartamento di Baxter, quest'ultima apprende che l'amante non ha alcuna intenzione di lasciare la famiglia per sposarla, come le aveva promesso. Amareggiata ed umiliata, la povera Fran decide di suicidarsi proprio in quell'appartamento: buon per lei che Baxter giunga in tempo a salvarla.[3] Quando però l'impiegato comunica a Sheldrake l'accaduto, la telefonata viene intercettata da miss Olsen, segretaria ed ex-amante del dirigente, che - per vendetta e gelosia - informa di tutto la moglie di Sheldrake la quale, a sua volta, caccia di casa il marito. L'uomo riprende a questo punto la relazione con Fran e chiede a Baxter la chiave dell'appartamento per trascorrervi la notte del 31 dicembre con la ragazza. Baxter però, presa coscienza… di doversi finalmente comportare da "uomo", rifiuta e si licenzia. Fran apprende la notizia durante la cena di Capodanno e, resasi conto di quel che prova, pianta in asso Sheldrake e - in una memorabile scena nelle vie di New York - raggiunge correndo l'appartamento di Baxter dove i due si dichiarano il loro amore.
A noi qui interessa l’ inevitabile snodo evidenziato in grassetto.
Sappiamo già da tempo che il “genere” richiede a Ciccibello, prima della fine, una levata d’ orgoglio: rialzerà la testa rinunciando ai suoi privilegi pur di non andare troppo oltre sulla via della meschinità, che pure, essendo un “uomo qualunque” (altra richiesta del genere), aveva imboccato e percorso fino a un certo punto con disinvoltura.
Finalmente la scena attesa ha luogo verso la fine della pellicola: di fronte alla richiesta piena di sottointesi da parte del boss Sheldrake, Ciccibello sembra dapprima ribellarsi (ci siamo!) per poi cedere di schianto consegnando le chiavi dell’ appartamento (rinvio). Dopo una flebile resistenza le butta rassegnato sulla scrivania e noi spettatori pensiamo che la riscossa tanto attesa sia rimandata. Poi si reca nel suo ufficio attiguo immergendosi in piccole attività (anticipo) che non riusciamo a decifrare e comunque non calcoliamo come rilevanti: chiude cassetti, libri contabili, apre lo spogliatoio… Sopraggiunge trafelato Sheldrake il quale protesta: quella che ha in mano non è la chiave dell’ appartamento! Ma certo che non lo è, visto che trattasi della chiave bagni-dirigenti (ritardo). Una sostituzione non gratuita poiché in una delle scene precedenti l’ accesso al bagno-dirigenti del ventisettesimo piano veniva descritto come una sorta di status symbol. Col dimesso annuncio della sostituzione allo stupefatto Sheldrake, Ciccibello adempie al suo compito di uomo, tutti noi ci compiacciamo come quando da piccoli, nelle sale del cinema parrocchiale, il cattivo veniva steso da un diretto del buono. Ora, in chiaro ritardo, sappiamo decifrare anche la misteriosa attività di Ciccibello: sta confezionando il tipico scatolone dei licenziati americani visto che conosce a memoria la sorte di chi non si piega a certe regole.
Tutto quel che doveva avvenire avviene. Tutto quel che ci aspettavamo arriva. Solo che arriva un attimo prima o un attimo dopo rispetto a quando era atteso. Il regista ci coccola mantenendo fede ai vincoli del genere ma ci prende anche in giro facendo accadere sotto i nostri occhi cose che noi siamo ancora lì ad aspettare. Uno spiazzamento continuo e non traumatico che trasforma un film da storia scontata a piccolo capolavoro. Sì perché di “soluzioni” del genere devi affastellarne parecchie per trasformare una storia banalotta in una commedia brillante. Talmente brillante da rilucere ancora a mezzo secolo di distanza.
Scena finale:
Lui: io l’ amo miss Kubelik
Lei: … tre… quattro… fa' le carte e poi ridimmelo.
giovedì 29 dicembre 2011
Beato chi ha torto (perchè un bel giorno avrà ragione)
Jason Reitman - thank you for smoking
… impalo tua madre e do’ il cadavere in pasto ai cani con la sifilide…
Niente paura, è solo una “battuta aziendale” destinata a suscitare una breve ilarità tra colleghi già impegnati ad escogitarne un’ altra che sia all’ altezza. Nella noiosa vita nelle multinazionali si tira sera anche così.
Cosa vi credete che dicano i chirurghi davanti alla macchinetta del caffé? Ironizzano sulle vostre trippe senza neanche sapere che son vostre.
Il “popolo degli indignati”, quello che non fa mai passare di moda la gogna pubblica, s’ indignerà ancora una volta di fronte all’ ovvio. Devo dire che colpirlo sotto la cintura è sempre un piacere. Siccome questo film lo fa a ripetizione, risulta piacevolissimo.
Nick Naylor è pagato per parlare e si guadagna da vivere rappresentando un’ organizzazione – la Big Tobacco - che uccide 1.200 esseri umani al giorno… praticamente c’ è Attila, Gengis Kan… e poi lui.
Non è un lavoro facile…
… richiede una moralità flessibile che manca alla maggior parte di persone…
Non solo, è un lavoro talmente assorbente da lasciare a malapena il tempo per dormire (giusto qualche volta la domenica notte).
Però ti consente di passare buona parte della giornata nel lusso: per esempio andando a cena in ristoranti che servono solo cibo bianco.
Oppure viaggiando su ascensori ultimo modello:
Peter (orgoglioso): cosa senti?
Nick: niente.
Peter (entusiasta): esatto!
Poi c’ è la TV, tanta TV e l’ odio palpabile di milioni di persone:
D’ altronde il motto del lobbista perfetto è sempre stato:
… se vuoi un lavoro facile, vai nella Croce Rossa…
Nick rimpiange i tempi del cinema d’ antan, quallo in cui fumavano tutti: James Stewart, Paul Newman… Bette Davis poi… una ciminiera. Vorrebbe rinverdirli progettando film ambientati nel 3012 con “scopata cosmica” tra Bradd Pitt e Catherina Zeta Jones e pippatona finale guarnita da saturnini anelli di fumo (“ma Brad li saprà fare?”).
Fortunatamente per Nick la vita non è poi così sacra come qualcuno dice, e il comitato MDM (mercanti di morte) lo sa bene. Il “comitato MdM” è un po’ quel che è la macchinetta del caffè per i chirurghi, solo che qui siamo nel “ramo” alcool-armi-fumo.
Poi c’ è Joey, il figlio di Nick. Lui ammira suo padre, sebbene sappia bene che quando apre bocca rischia ogni volta di rovinargli l’ infanzia.
Ma alla fin fine anche Joey concorda, tanto è vero che ripete ispirato:
… puoi chamarlo capitalismo… libero mercato… ma anche… amore…
Ora però la mamma di Joey sta con Brad, il quale è molto preoccupato del fumo passivo che Joey subisce durante i week end che trascorre col padre, ma anche in questo caso Nick ha la risposta da dare alle angosce dell’ irreprensibile patrigno:
… non preoccuparti Brad, ci penso io, in fondo il papà sono io… tu sei solo quello che si scopa la mamma…
La domanda cruciale del film sembra proprio essere questa: perché i “cattivi” ci sembrano più simpatici e più credibili dei buoni?
Congettura: i cattivi sono più consapevoli, nel tentativo di imbellettare il loro lato debole dimostrano di conoscerlo a menadito. I buoni sono vittime delle loro “troppe ragioni”, cio’ li rende ottusi, col paraocchi tipico dei crociati. Sembrano persino ridicoli, hanno nomi ridicoli come Ortolan e abiti ridicoli: incrociandoli viene voglia di prenderli in giro spaventandoli con un grido a squarciagola: “voglio quel fermacravatta!”
E, come se non bastasse, anche loro, se messi alle strette, non difettano certo di cinismo:
… queste cazzo di no profit… quando cerchi un ragazzo col cancro da mandare in TV… deve essere un caso disperato… deve stare su una sedia a rotelle… deve girare col suo pesciolino nella vaschetta…
Qualcuno di questi tristi e pericolosi individui termina la sua carriera infilando mutandoni al Giudizio Universale di Michelangelo, forse a Ortolan va ancora peggio: avvalendosi delle nuove tecnologie digitali “restaura con gusto” gloriose vecchie pellicole sostituendo le sigarette in mano ai divi con dei lecca lecca (“loro sarebbero stati d’ accordo!”).
La difesa dell’ indifendibile approntata da Nick ha varie sfumature. Spesso attinge dal materiale dell’ Academy of Tobacco Studies, il centro studi delle multinazionali del fumo, un posto diretto da uno scienziato pazzo (naturalmente tedesco) che negherebbe anche la forza di gravità. Il posto ideale per i boss delle “associate” in cerca di scampo dalle mogli.
Ma è di fronte al malato di cancro che siede di fronte a te nel talk show che si deve dare il meglio:
… la morte ci toglie clienti, per questo la combattiamo con tutte le nostre forze…
In altri casi bastano i classici e sempre persuasivi:
… ma chi l’ ha detto?…
O, in alternativa:
… il problema è al vaglio degli scienziati… al momento non sono emerse chiare prove del legame…
In casi estremi c’ è sempre il decoroso:
… nessuna legge lo proibisce!… non ancora!…
Per Nick l’ America è proprio un paese fantastico, soprattutto…
… per il suo sistema di appelli infiniti…
Ci sono poi “difese” particolari. Per esempio quella fatta in privato e rivolta alla ragazza “con le tette spaziali” da portare a letto. Nell’ intento di stimolare l’ onnipresente istinto da crocerossina si puo’ ricorrere alla “Norimberga degli yuppies”: tutti hanno un mutuo da pagare.
Corollario:
… il 99% delle azioni umane si fanno per pagare un mutuo, forse il mondo sarebbe migliore se tutti vivessero in affitto…
A volte sembra che Nick si “converta”, ma non al “bene”, bensì al “male”.
Ovverossia: sembra quasi tirar fuori dal cilindro difese autentiche. A furia di parlare si ferma e si accorge di essersi convinto senza volerlo, ha detto proprio la cosa giusta!
Come quando parla al figlio faccia a faccia:
Oppure nell’ arringa svolta in Parlamento, quando ormai è un uomo solo e licenziato:
Una gran lingua, non c’ è che dire. Ma, inattesi, qua e là, anche un gran cervello e un gran cuore. Evidentemente Nick si sente chiamare da un destino a lui superiore verso una missione ben precisa: difendere i più indifesi (ovvero le multinazionali). Lo farà fino in fondo e, licenziato dai codardi “tabaccai” che imboccano la strada del patteggiamento, si dedicherà anima e corpo… all’ elettrosmog.