giovedì 9 maggio 2013

Il mistero delle tasse sul lavoro

Domanda: “quali sono le tasse che colpiscono il lavoro?”
Risposta semplificata: “tutte”.
Risposta accurata: “praticamente tutte”.
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Si sente dire in giro che bisogna abbassare le tasse sul lavoro, tutti sembrano d’ accordo su questa priorità.
Ebbene, qui vorrei mostrare che non esiste cosa più facile al mondo.
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Partiamo dalla premessa che mi sembra d’ obbligo, esistono solo due tipi di tasse:
1. Tasse sul lavoro e
2. Tasse sulla natura.
Le tasse sulla natura sono rare, talmente rare che mi sembra non ce ne sia in vigore neanche una.
In teoria è facile concepirle: Esisti? Ti tasso. Ecco una tassa sulla “natura”.
Un’ altra tassa sulla natura è la tassa sull’ altezza del contribuente.
Quando non si tassa la natura, si tassa la ricchezza, e la ricchezza è sempre prodotta grazie al lavoro. Tassare la ricchezza e tassare il lavoro è la stessa cosa.
Le tasse sulla natura sono le più efficienti perché non producono disincentivi: se ti tasso per il solo fatto di esistere o perché sei più alto di un metro e ottanta, come potresti mai eludere la tassazione che ti impongo?
Le tasse sul lavoro invece si possono eludere facilmente: basta lavorare meno.
Una società in cui si lavora poco per paura delle tasse è una società inefficiente.
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Poiché in teoria esistono solo due tipi di tasse – quelle sul lavoro e quelle sulla natura – e il secondo tipo di tassa non esiste in pratica, non c’ è cosa più semplice che abbassare le tasse sul lavoro: basta abbassare una tassa qualsiasi.
Compresa la tanto vituperata IMU.
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In realtà anche le tasse sul lavoro si possono dividere in due gruppi:
1. Tasse sul lavoro, e
2. Sovrattasse sul lavoro.
Le seconde rappresentano una “doppia tassazione”.
Le tasse sul capitale o sulle rendite finanziarie, per esempio, non sono altro che “sovrattasse sul lavoro”.
Anche l’ IMU è da classificare come “sovrattassa” sul lavoro.
Poiché le “sovrattasse” sono ancora peggio delle “tasse”, qualsiasi economista consiglia di tenerle particolarmente basse.
C’ è anche un problema etico: perché certi cittadini devono pagare due volte ed altri una?
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Cerchiamo di capire meglio il concetto di “sovrattassa”: se Giovanni compra una casa pagherà l’ IMU.
Ma Giovanni comprerà la sua casa con un reddito di lavoro già tassato.
Il fatto che Giovanni metta lì il suo reddito di lavoro già tassato fa sì che Giovanni, sempre su quel reddito, debba scontare un’ altra tassa, il che si traduce in una sovrattassa sul lavoro.
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Ma le tasse sul lavoro, diversamente da quelle sulla natura, hanno un grave difetto: producono disincentivi.
Di fronte a tasse e sovrattasse Giovanni lavorerà meno e acquisterà un’ abitazione più modesta, oppure acquisterà case solo a prezzi ridotti.
Una domanda di case più contenuta implicherà delle riduzioni nello stipendio del maguttino Giuseppe. Giovanni è riuscito almeno in parte a trasferire le tasse che gravano (e graveranno) sul suo lavoro  (IRPEF e IMU) su quello del maguttino Giuseppe.
Ai nostri fini non cambia molto: sia Giovanni che Giuseppe sono lavoratori e a noi interessava capire che con IRPEF e IMU si colpisce (e si ricolpisce) il lavoro.
D’ altronde è ovvio che sia così: visto che né IRPEF né IMU sono Tasse sulla Natura, non possono essere che Tasse sul Lavoro.
***
Spesso si dice: “bisogna detassare i lavoratori, non i proprietari di casa”, “bisogna abbattere il cuneo fiscale, non l’ IMU”.
Alla luce di quanto appena detto sembrano assurdità: l’ IMU non solo è una tassa sul lavoro ma è addirittura una sovrattassa sul lavoro!
Eppure un fondo di verità esiste, pensateci bene.
L’ IMU colpisce due tipi di lavoro: quello pregresso di Giovanni, nonché quello attuale di Giuseppe.
Mentre per noi qualsiasi lavoro ha pari dignità, per il tassatore non tutto il lavoro è uguale. Il tassatore anela a colpire il lavoro pregresso, ed è facile capire perché.
Le tasse sul lavoro pregresso sono particolarmente efficienti poiché il lavoro pregresso non puo’ essere disincentivato: Giovanni ha già lavorato e non puo’ certo decidere oggi di lavorare di meno.
Colpendo il lavoro pregresso il tassatore puo’ contare sull’ effetto sorpresa: il lavoro pregresso (quello di Giovanni) puo’ essere colpito a tradimento mentre il lavoro attuale (quello di Giuseppe) puo’ essere colpito solo frontalmente “guardandolo negli occhi”.
Colpire il lavoro pregresso è moralmente odioso (Giovanni a suo tempo fece le sue scelte e oggi qualcuno gli ha cambiato le carte in tavola) ma è anche più efficiente (Giovanni non puo’ tornare indietro ed eludere la tassazione o trasferirla su terzi).
L’ IMU per molti è una tassa odiosa, il motivo è facile da capire: 1. è una tassa che, almeno al momento dell’ introduzione, si basa su un tradimento e 2. non è solo una tassa ma addirittura è una sovrattassa sul lavoro.
Detto questo l’ IMU è una tassa che non disincentiva il lavoro atuale quanto il cuneo fiscale, almeno finché non passa un certo periodo dalla sua introduzione.
L’ IMU piace a chi vuole risultati subito qui ed ora. Tra costoro ci sono anche i politici miopi.
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Naturalmente, una tassa che colpisce il lavoro pregresso (es. IMU), man mano che passano gli anni vedrà sempre più scemare i vantaggi in termini di efficienza poiché non potrà più contare sull’ “effetto tradimento”.
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Sintetizziamo allora così: 1. l’ IMU colpisce sia il lavoro attuale che quello pregresso, 2. Il cuneo fiscale si concentra invece sul lavoro attuale 3. Le tasse che colpiscono il lavoro pregresso sono moralmente odiose ma, introdotte di fresco, sono anche particolarmente efficienti visto che il lavoro pregresso non puo’ essere disincentivato 4. Man mano che passano gli anni gli effetti della tassazione IMU e quelli del cuneo fiscale tendono a convergere fino ad essere quasi indistinguibili.

sabato 4 maggio 2013

Nove e Mia


Aldo Nove pubblica per Skira "Mi chiamo..." e racconta, in prima persona, la storia di Mia Martini.

Aldo Nove mi ha sempre affascinato, è una persona sensibile, con idee stimolanti in grado di attrarre le attenzioni più morbose (la mia un po’ lo è). Ai tempi di Woobinda era uno dei pochi con cui condividere quelle perversioni necrofile che ci fanno rovistare nella decrepita oggettistica delle nostre infanzie (poi è arrivata you tube a rendere tutto maledettamente disponibile e, come se non bastasse, è arrivato anche l' ineffabile duo Fazio&Veltroni a trasformare l’ inquietante passione per la muffa in un passatempo per quarantenni annoiati). D’ altronde le nostre infanzie sono state vissute nella stessa campagna, a pochi chilometri di distanza (lui a Viggiù, io a Brenno Useria)

Detto questo non mi ha mai convinto quando si presenta come scrittore. Uno scrittore dovrebbe avere idee solo mentre scrive, lui dà sempre la sensazione di averle prima.

Esempio, ottima l’ idea di scrivere una biografia romanzata di Mia Martini. Talmente ottima da sembrare partorita in anticipo e trasformare la scrittura in un dovere postumo. Ecco, c’ è sempre qualcosa di “postumo” nella scrittura di Nove. http://www.youtube.com/watch?v=BtG2rAj-5Xw


giovedì 2 maggio 2013

vessata e felice

vessata e felice on Vimeo:

'via Blog this'

Punire il femminicida

Il Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini recentemente ha scritto un' accorata lettera al Corriere della Sera per prendere di petto una volta per tutte l’ emergenza che in queste ore sta mettendo a dura prova le sorti del Bel Paese, parlo dell' emergenza femminicidio naturalmente.
Il Presidente auspica che il fenomeno venga affrontato per via legislativa: Governissimo e Parlamento devono farsene carico al più presto.
Nessuno sa con esattezza cosa ci sia dietro espressioni quali “per via legislativa” ma è possibile prevederlo: pene più severe. Meglio se esemplari.
Detto in altri termini, il criminale che si macchierà di “femminicidio” sarà punito più severamente del criminale che, ad esempio, si limiterà ad uccidere una donna.
Il primo ad appoggiare in modo entusiasta l’ appello è stato il pimpante Aldo Cazzullo che settimana scorsa leggeva i giornali a Prima Pagina.
Il giornalista ha alzato al cielo le sue strilla di giubilo giustificandole poi così: trattasi di atto “particolarmente odioso” che merita pene “particolarmente severe”.
Una motivazione particolarmente ideologica, mi viene da dire.
E vista la carica altamente ideologica  che ha sempre contraddistinto una figura come Laura Boldrini, sono portato a pensare che la giustificazione della sua richiesta non si discosti in modo significativo da quella del Giornalista Unico di vedetta questa settimana nell’ inespugnabile fortino di Radio Tre.
Eppure scommetto che anche per due “smart” come il giornalista Cazzullo e la Presidente Boldrini sarebbe imbarazzante presentarsi al cospetto dei parenti di un assassinato a sangue freddo nel corso di una rapina dicendo che in fondo cio’ che ha subito il loro congiunto non è un trattamento “particolarmente odioso”.
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Purtroppo (per LB) i criteri con cui di solito si stabilisce l’ equità di una pena non comprendono l’ “esemplarietà”.
L’ ideologia dovrebbe essere bandita da materie tanto delicate e gli atti simbolici dovrebbero di conseguenza lasciare spazio agli atti razionali.
Stabilire l’ equità di una pena inflitta non è come indire un “giorno della memoria” all’ ONU, la sensibilità al simbolico deve cedere il passo al pensiero ordinato. C' è poco dai giochicchiare con i simboli quando in ballo c' è la vita delle persone.
Di sicuro la sede in cui si stabilisce l' equità della pena non è la sede ideale per allestire la vanitosa sfilata dei "buoni" di professione.
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Ma come si calcola una pena equa?
La pena equa è decisa da un membro molto particolare della società. Un soggetto costruito a tavolino e che non esiste nella realtà, un soggetto che dobbiamo raffigurarci facendo uno sforzo d’ immaginazione. Potremmo chiamarlo Decisore.
Se la comunità fosse costituita dai soggetti x, y e z, il Decisore prenderebbe dapprima le sue decisioni in materia di pena equa, e solo successivamente, in modo completamente casuale, scoprirebbe  la sua reale identità che potrà essere indifferentemente x, y o z.
In gergo si dice che il Decisore agisce dietro un velo d’ ignoranza.
Un soggetto del genere non è né maschio né femmina, né ricco né povero...  Non è nulla del genere, o meglio, non è ancora nulla del genere; nel momento in cui decide non ha nemmeno un corpo!
Ideologismi e moralismi sono finalmente tolti di mezzo, il Decisore è un egoista razionale. Ma un egoista molto particolare che non puo’ trascurare gli interessi di nessuno visto che in lui collassano gli interessi di tutti.
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La pena equa selezionata dal Decisore per ciascun crimine sarà dunque scelta soppesando alcuni parametri chiave.
1. VITTIMA/COLPEVOLE.
Nella sua vita incarnata il Decisore potrebbe ritrovarsi ad essere un criminale, pensando a questo ci andrà piano nel prevedere pene eccessivamente severe.
Ma potrebbe essere anche una vittima potenziale in grado di scamparla se solo la pena fosse sufficientemente elevata da offrire una deterrenza efficace.
E’ da questo tira e molla che nasce la pena equa.
In altri termini, il Decisore, da dietro il suo velo, è sia vittima che carnefice. Dentro di lui potenziale vittima e potenziale carnefice contrattano animatamente.
2. DANNO/VANTAGGIO.
Se i danni derivati alla vittima saranno ingenti, nel decisore la voce della vittima cercherà di orientarlo con forza verso una pena aspra; ma se i vantaggi derivati al colpevole saranno ingenti, il Decisore sentirà forte una voce che sponsorizza pene lievi.
Per cogliere meglio il punto: uccidere un ragazzo nel fiore degli anni e pieno di vita non è esattamente come uccidere  un aspirante suicida. Anche se sempre di omicidio si tratta.
3. APPLICABILITA’.
Se il colpevole puo’ facilmente sfuggire alla sua sorte, la vittima desidererà compensare questo pericolo con pene più severe; d’ altro canto, il potenziale colpevole tollera la richiesta di pene più severe quando sa che le vie di fuga sono molte.
Si tratta di un fattore in cui gli interessi di potenziale colpevole e potenziale vittima sono allineati.
4. RECIDIVA.
Anche qui gli interessi sono allineati: se riteniamo che ricadere nello stesso delitto sia poco desiderabile sia per la vittima che per il colpevole, è giusto auspicare pene tanto più severe quanto più questa possibilità è concreta.
Se un delitto non verrà mai commesso di nuovo dalla stessa persona, perché punirla con un sovrappiù di pena?
5. COSTOSITA’ della pena.
Applicare la pena è costoso. La galera non sarà un hotel a cinque stelle ma ha pur sempre un costo che di solito viene accollato alle potenziali vittime.
La potenziale vittima razionale pensa in questi termini: se una pena ha scarso potere deterrente meglio abbassarla, si risparmierà almeno sui costi.
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Vediamo ora come i quattro fattori salienti impattano nel confronto tra femminicidio e semplice omicidio (magari di una donna).
1.
Sarò vittima del crimine?
Ecco cosa si chiede il decisore da dietro il suo “velo”.
Se il crimine in questione è l’ omicidio da rapina, allora è praticamente impossibile rispondere. Chiunque, per esempio, puo’ essere vittima di una rapina che si conclude tragicamente. Come escluderlo a priori?
E nel caso del femminicidio?
Non dirò certo che uno si va a cercare certe compagnie ma di sicuro in un caso del genere gioca un ruolo anche la discrezionalità della vittima: ma perché non lo molli prima un tipo così? Anzi, perché hai cominciato a frequentarlo contribuendo ad intrecciare con lui un rapporto tanto morboso?
Una discrezionalità del genere è opinabile ma di sicuro non esiste, per esempio, nell’ omicidio in seguito a rapina.
Mi hanno rapinato e mi hanno ucciso. Certo, potevo starmene a casa anziché andare al cinema, ma…
Chi rinuncia a vivere ne uscirà sempre incolume ma chiedere una simile rinuncia è palesemente assurdo.
Il Decisore ragionerà allora in questi termini: scampare al femminicidio sarà per me possibile, qualora sentirò “puzza di bruciato”, forse saprò tirarmi indietro.
Ed ecco che le probabilità di essere vittima di femminicidio si abbassano di un pelino a parità di tutto il resto.
Ricordiamoci che nel Decisore il potenziale colpevole spinge per abbassare la pena incontrando l’ opposizione della probabile vittima; se la probabile vittima si accorge di essere un po’ meno probabile di quel che pensava, rilasserà le sue pretese.
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C’ è poi il caso dei “colpevoli innocenti”.
Nel Decisore, oltre alla voce del potenziale colpevole, parla anche la voce del potenziale innocente dichiarato colpevole. Entrambi questi personaggi fanno le medesime rivendicazioni.
L’ interesse dei due è allineato e diventa importante isolare quei crimini dove l’ errore giudiziario è più probabile.
Esiste il rischio che un innocente venga condannato di omicidio?
Naturalmente esiste in tutti i generi di omicidio. Ma nel caso dei femminicidi il rischio è più elevato visto che la fattispecie non sempre è chiaramente distinta da quella del “semplice” omicidio.
A dire la verità ancora oggi c’ è gente che non ha capito bene come discernere in teoria il femminicidio dall’ omicidio di una donna, figuriamoci quando si passa al caso pratico.
Il Decisore deve tener conto che potrebbe incarnarsi in un colpevole ma deve assommare a quella probabilità la probabilità di incarnarsi in un semplice omicida accusato ingiustamente di femminicidio.
2.
L’ vittima dell’ assassinio sarebbe stata una persona felice?
Se sì, allora i danni procurati dall’ assassino sono particolarmente gravi.
Difficile comunque rispondere alla domanda: io me ne andavo al cinema e un rapinatore mi ha ucciso. Sarei stato felice? Boh!
E la vittima media dei “femminicidi”?
Anche qui difficile dire, bisognerebbe chiedere allo psicologo.
Probabilmente non si tratta di persone particolarmente abili nella gestione delle relazioni intime e noi sappiamo che la felicità di un soggetto dipende in modo preponderante dalla qualità delle sue relazioni.
Il Decisore dovrà soppesare con cura simili informazioni.
3.
Il femminicidio non è quasi mai un omicidio perfetto.
Il femminicida difficilmente sfugge alla sua sorte. Addirittura è talmente poco desideroso di sfuggire alla sua sorte che spesso si suicida o si costituisce.
Quando va male tenta delle ridicole quanto brevi fughe.
Di sicuro è più difficile catturare chi uccide in modo professionale calcolando tutte le conseguenze del suo gesto, pensiamo solo ai rapinatori professionisti o ai terroristi.
Il fatto che il colpevole non puo’ o non vuole farla franca indebolisce il bisogno di una deterrenza forte della pena.
4.
Sicuramente la recidiva è un rischio a cui sono soggetti tutti gli assassini.
Bisognerebbe chiedere ai criminologi la posizione dei femminicidi rispetto agli altri assassini.
C’ è però un aspetto tecnico che rende la recidiva del femminicidio più difficoltosa: bisogna costruire una relazione minimamente complessa e stratificata per odiare la propria donna fino ad ucciderla. Questo richiede tempo ed energie.
Il killer appena uscito di galera, al contrario, puo’ ricevere ordinativi che lo fanno entrare in azione immediatamente.
5.
Spesso il femminicida è un povero disperato che si augura solo di marcire in galera. Si dirà: e allora non lesiniamo sulle pene!
In questi casi l’ atteggiamento più corretto è quello contrario: le pene verso chi desidera subire pene aspre dovrebbero essere più lievi.
Chi desidera pene aspre non teme la pena. Detto in altri termini, la pena non ha potere deterrente su di lui, ovvero non tutela le potenziali vittime. D’ altro canto la pena ha un costo che le potenziali vittime devono sobbarcarsi. La conclusione è che in casi del genere non ha senso formulare pene particolarmente afflittive. 
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Analizzando i cinque fattori non ideologici sulla base dei quali elaborare una pena equa, non mi sembrano emergere stringenti ragioni per inasprire quelle che colpiscono il femminicida.
E consiglio al Presidente Boldrini di non approfondire la pratica, il rischio è quello di giungere a conclusioni opposte rispetto a quelle verso cui la spinge la tanto amata ideologia.
 

L’ universo al polso

Da che mondo e mondo gli apologeti della religione hanno sempre creduto di avere un asso nella manica da giocare nella partita sull’ esistenza di Dio: l’ argomento (o analogia) dell’ orologio.
Da Cartesio a Boyle, giù giù fino a Paley, si custodiva l’ “arma segreta” con mal represso compiacimento per poi utilizzarla al momento opportuno.
La storiella era sceneggiata all’ incirca così: se rinvenite nel bosco un orologio, cosa vi viene fatto di pensare? Che qualcuno l’ abbia perduto o abbandonato, ovvio. E questo qualcuno dove se l’ era procacciato? Presso il proprietario precedente. E in cima alla catena dei proprietari chi ci sta? Ma è chiaro, il costruttore, colui che ha progettato l’ oggetto e lo ha assemblato grazie alle sue competenze.
Se c’ è un orologio da qualche parte ci sarà anche il suo costruttore, è una necessità. Non puo’ certo essersi assemblato spontaneamente grazie alle forze casuali della natura, un colpo di vento qui e un colpo di vento là. Seee!
E visto che assomiglia tanto a un orologio, lo stesso dicasi per il cosmo: non puo’ esistere senza un architetto che si sia incaricato di progettarlo e costruirlo. Il caso è impotente di fronte a simili prodigi.
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Ma siamo proprio sicuri che il caso non possa fare niente del genere?
In verità lo studio dell’ evoluzione ci ha mostrato che il caso fa miracoli. A lasciarlo lavorare non è da meno dell’ architetto più ingegnoso, e la scoperta ha ringalluzzito gli atei.
L’ argomento dell’ orologio è caduto in disgrazia massacrato dagli assalti ferini di Richard Dawkins e della sua orda.
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I sostenitori del Disegno Intelligente insinuano dubbi facendo notare che in natura esistono orologi particolarmente complicati.
Diciamolo francamente, non mi sembra un’ obiezione di grande rilievo.
In fondo, se il caso fabbrica orologi di media complessità, forse ne fabbrica anche di più complicati. Una volta accettata la prima affermazione come un dato di fatto faccio fatica a respingere in modo convinto la seconda.
La concorrenza dell’ Orologiaio sembra spiazzata una volta per tutte.
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Ma ecco tutto d' un tratto verificarsi un colpo di scena: gli orologi non si rinvengono solo nei boschi dietro casa!
John Leslie nel suo libro Universes ci ha fatto notare che sono stati rinvenuti anche nei primi stadi del nostro universo.
Molti sono stati rinvenuti addirittura all’ inizio!
Per gli atei ringalluzziti la cosa è piuttosto imbarazzante perché nei primi stadi dell’ universo l’ evoluzione opera con difficoltà e all’ inizio dell’ universo non opera proprio per niente. Occorrono diverse ipotesi ad hoc per risistemare le cose nel senso desiderato da loro.
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John Leslie, come dicevamo, è il filosofo che ha pensato più a fondo questo fenomeno, vale la pena di ascoltarlo.
… il nostro universo contiene tracce di vita … ammettiamo che questo fatto sia altamente improbabile, evidentemente le condizioni di partenza che lo hanno reso possibile sono del tutto particolari e richiedono una spiegazione…
E poiché parliamo di “condizioni iniziali” dell’ universo, l’ evoluzione non spiega nulla.
***
JL si dedica dapprima ad una rassegna delle teorie scientifiche più solide per mostrarci come il nostro universo di fatto sia altamente improbabile. L’ ipotesi che ha formulato inizialmente solo per amor di discussione non è affatto peregrina, anzi, è la più accreditata. Pensando al cosmo, basterebbero infatti piccoli cambiamenti nelle condizioni di partenza per ottenere qualcosa di completamente diverso.
La forza nucleare debole, la forza nucleare forte, la massa delle particelle, l’ elettromagnetismo… sono fenomeni tarati in modo molto particolare e se solo questa taratura differisse leggermente la vita sarebbe impensabile.
La scienza sembra dunque dirci che il nostro universo è altamente improbabile, esiste un consenso ragguardevole sul punto.
Il consenso scema quando si passa alle spiegazioni del fenomeno.
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Prima spiegazione: trattasi di straordinaria coincidenza. Amen.
E’ un po’ come dire che non ci interessa spiegare alcunché. Oppure che la cosa è inspiegabile ed è inutile perderci tempo.
E’ vero, si pensa, la vita andrebbe spiegata ma Darwin ci basta, quel che non rientra nel suo paradigma è inspiegabile per definizione. Lo sostengono molti darwinisti più realisti del re.
Per costoro non ha senso dire cose del tipo “le condizioni iniziali sono improbabili” perché le probabilità si applicano solo a fenomeni osservabili.
Questo modo di ragionare è fallace: implica che se il mondo fosse stato creato da un demone mediante il lancio di dadi la cosa non potrebbe essere descritta probabilisticamente, il che è assurdo.
Inoltre oggi sappiamo, anche grazie al matematico italiano Bruno De Finetti, che  le fondamenta del calcolo probabilistico sono soggettive. Quindi, o si ha il coraggio di espellerlo dall’ alveo della razionalità o lo si accetta per quello che è.
Seconda spiegazione: si osserva sarcasticamente che è un po’ come essere chiamati a spiegare la “meravigliosa coincidenza” per cui il fiume passa esattamente sotto tutti i ponti. Basta “pensare al contrario” e tutti i misteri si rivelano puerili.
Mmmmm. L’ analogia non sembra calzante. Sarà anche una spiegazione a molti “falsi problemi” ma non sembra proprio la spiegazione al “nostro problema”.
Scoprire che i ponti sono costruiti ad hoc sul fiume, in cosa si traduce nel nostro caso? Forse nella scoperta che l’ universo è quello che è per il fatto stesso che in esso esiste la vita? Ma che senso ha?
Qualsiasi forma di vita in qualsiasi universo immaginario sembra altamente improbabile, chi racconta storielle sarcastiche che invitano a “pensare al contrario” sembra non afferrare il punto decisivo.
Terza spiegazione: un Dio buono ha “sintonizzato” l’ universo in modo che in esso emergesse la vita.
Andiamo un po’ meglio, a molti non piacerà ma per lo meno è una spiegazione e sembra adatta al problema per come ci viene formalmente  posto.
Quarta spiegazione: esistono molti universi. In un caso del genere è chiaro che quanti più universi esistono, tanto meno improbabile diventa il fatto che esista un universo che contiene la vita e quindi l’ uomo.
Anche questa è una spiegazione. Altrettanto indimostrata ma pur sempre una spiegazione formalmente corretta.
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Giovanni: se l’ universo non contenesse segni di vita nessuno potrebbe osservarlo e non ci sarebbe alcunché da spiegare. Cio’ dimostra che non c’ è nulla da spiegare.
John Leslie: parli come se ci fosse un nesso causale tra l’ esistenza dell’ osservatore e l’ esistenza dell’ universo ma così non è. E’ vero invece il contrario.
Giovanni: forse non mi sono spiegato, intendevo dire che se non ci fossi stato tu ad osservare l’ universo ci sarebbe stato un altro a dire “che coincidenza meravigliosa!”. E se non ci fosse stato lui ci sarebbe comunque stato un altro ancora. Insomma, la “coincidenza meravigliosa” è un’ illusione. Fammi fare un’ altra analogia: il fatto che chi vince la lotteria abbia una fortuna sfacciata non significa che se qualcuno vince siamo di fronte a una “coincidenza meravigliosa”.
Leslie: calma, la coincidenza meravigliosa non riguarda il fatto che oggi io sia qui ad osservare l’ universo ma il fatto che esista un osservatore qualsiasi in grado di farlo. La coincidenza meravigliosa non riguarda il fatto che esista il nostro universo ma che esista un universo come il nostro, ovvero un universo qualsiasi che ospiti la vita. A vincere la lotteria non è stato il nostro universo specifico ma l’ insieme degli universi “life-containing”. Come te lo spieghi? Puro caso?
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Qualora il nostro universo fosse altamente improbabile restano in campo solo l’ ipotesi di Dio e quella dei “molti universi”.
John Leslie non si interessa molto alle caratteristiche del Dio da ipotizzare. Quello a cui pensa è semplicemente un Dio che sottomette l’ universo alle sue leggi e non è nemmeno necessario che lo crei dal nulla, potrebbe anche essere eterno, nulla cambierebbe.
Il Dio di Leslie è una pura forza ordinativa.
Ma perché un simile Dio fa quello che fa? Perché è buono: ecco un’ altra sua caratteristica. Evidentemente la vita è un bene. Chi è a disagio con queste categorie puo’ tranquillamente assumere che non sappiamo affatto perché il Dio di Leslie fa quello che fa.
Il Dio di Leslie assomiglia al tipico Dio neoplatonico. Un Dio minimale.
***
Se un plotone di esecuzione vi spara e restate vivi perché tutte le pallottole vi hanno mancato, voi cosa pensate?
Pensate al caso?
Probabilmente no. Pensate piuttosto al fatto che vi abbiano risparmiato.
Ma potreste anche pensare che la vostra esecuzione ha avuto luogo miliardi di volte e voi state vivendo il caso specifico in cui tutti i cecchini vi hanno mancato. Tra miliardi e miliardi di casi esisterà necessariamente anche questo caso alquanto singolare. In fondo basta mettere miliardi e miliardi di scimmie davanti a una macchina da scrivere e un sonetto di Shakespeare prima o poi lo si ottiene.
Non è nemmeno necessario che esistano infiniti universi per neutralizzare l’ ipotesi teistica: più universi alternativi esistono, più il nostro universo diventa probabile e quindi spiegabile senza ricorrere alla figura di un Fine Tuner.
Qui è meglio ricordare quanto già si diceva: quando dico “molti universi” intendo “molti universi diversi dal nostro” e non “molti universi simili al nostro”, ovvero universi “life-containing”.
Espongo il concetto in altri termini: ammettiamo che sui protoni rinvenissimo il marchio “made by God”, dovendo escludere un’ incursione di marziani giocherelloni, la cosa potrebbe comunque essere spiegata in termini naturali da chi potesse dimostrare l’ esistenza di “molti universi simili al nostro”. Tuttavia, anche una dimostrazione del genere non basterebbe per escludere l’ esistenza di un Fine Tuner.
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Adesso, diciamocelo francamente, l’ ipotesi dei “molti universi” è un’ offesa alla semplicità. Perché mai dovremmo formularla?
Eppure è stata suggerita da parecchi filosofi aristotelici nel medioevo e anche da molti scienziati rispettabili: Einstein, Dirac, Eddington, Wheeler, Penrose, Barrow, Tipler…
Nonostante si siano cimentati tanti illustri cervelli, la visione dei “molti mondi” resta piuttosto oscura e proprio perché tale immune da attacchi dettagliati. Si puo’ tranquillamente concludere dicendo che la filosofia non ha fornito argomenti validi per supportare una simile ipotesi che resta bizzarra a dir poco.
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Vogliamo tirare le somme?
Intimoriti da Galileo e Darwin molti religiosi si affrettano a dire che la religione si fonda sulla fede e non sulla scienza. D’ altro canto molti filosofi si affrettano a dire che l’ argomento dell’ orologio è stato smontato per sempre. Leslie si smarca da questa schiera per affermare che così non è, le cose sono un po’ più complesse e l’ analogia dell’ Orologiaio, espulsa dalla porta, rientra dalla finestra.
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Ma dove si ferma l’ argomento di Leslie?
Innanzitutto l’ ipotesi di Dio resta in concorrenza alla pari con l’ ipotesi dei “molti mondi”. In fondo molti ritengono “bizzarra” anche l’ ipotesi di un Dio, anche se così consustanziale alla storia dell’ umanità.
Poi l’ universo descritto da JL potrebbe essere un universo di pupazzi privi di libero arbitrio.
Infine, sulla base di quanto detto finore, nulla puo’ essere detto sul fenomeno del male.
Nonostante questi limiti lo sforzo di Leslie resta ancora oggi uno dei più produttivi, vale la pena di ricordarlo.
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John Leslie – Universes