lunedì 18 marzo 2013

Braciole

#hanson vegetarianesimo

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Siete in fila dal macellaio per acquistare una braciola e vi coglie uno scrupolo etico: sarà giusto quel che state facendo? E’ il caso di procedere o di andarsene per abbracciare il vegetarianesimo una volta per tutte?
L’ animale, per quanto bestia, soffre e urla il suo dolore. Avete l’ impressione di essere coinvolti in qualcosa di terribile. State lì, in coda, proprio come ci stanno i corvi e le iene in attesa che il cucciolo spiri.
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Forse gli animali vantano davvero dei diritti, almeno le razze superiori. O no?
Un filosofo come Murray Newton Rothbard risponde secco:
… sono pronto a riconoscere agli animali ogni diritto che mi chiederanno…
Queste due righe racchiudono in modo icastico il “no” della tradizione: gli animali avranno diritti giuridici solo quando saremo pronti a riconoscere anche le loro responsabilità giuridiche.
Detto cio’, sia chiaro, per MNR gli animali hanno tutti i diritti che ritiene di conferire loro il padrone, compreso il deferente bacio della zampa imposto all’ ospite bipede ammesso in casa.
Sulla sponda opposta si colloca il controverso filosofo australiano Peter Singer.
Nel giustificare talune forme di infanticidio, costui attribuisce all’ animale uno status etico più elevato rispetto a quello  tipico del bimbo disabile.
Per Singer il “sentire” è tutto e una capacità percettiva menomata ci fa regredire verso la sfera degli oggetti.
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Lo spettro è dunque ampio e forse una tra le soluzioni intermedie più promettenti è quella delineata da Robert Nozick:
etica kantiana per gli uomini ed etica utilitarista per gli animali…
Cio’ significa che solo l’ uomo puo’ vantare dei diritti più o meno assoluti.
Per dirlo con una formula: l’ uomo è sempre fine e mai mezzo.
Tradotto con un esempio facile facile: per salvare cinque meravigliose persone bisognose di un trapianto d’ organi non sarà mai lecito sacrificare uno scorbutico misantropo senza parenti particolarmente in salute!
Al contrario, quando consideriamo il mondo animale, poiché il fine giustifica i mezzi, sarà lecito massimizzare la felicità complessiva della comunità… “omoanimalesca”.
Una soluzione del genere ha il pregio di distinguere chiaramente tra uomo e animale e, contemporaneamente, di condannare senza appello le violenze gratuite contro questi ultimi.
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Da questa premessa prende le mosse il saggio di Robin Hanson sul vegetarianesimo (Meat is moral).
Siamo fortunati perché quando si parla di utilitarismo RH è la persona più adatta da consultare.
Per RH un’ azione è buona solo se produce conseguenze complessivamente buone.
RH ha il pregio di praticare questo imperativo sempre e comunque, è l’ utilitarista più coerente che conosca…
[… secondo lui la shoah è esecrabile solo in virtù del fatto che “… il numero di nazisti coinvolti nel progetto era insufficiente…”!…]
sarà difficile andare d’ accordo con lui ma sarà molto facile capirsi e capire.
Per esempio, questo suo saggio è caratterizzato come anti-vegetariano ma io non escludo affatto che RH sia un vegetariano, anzi: ha una vera passione per gli argomenti che confutano le sue vedute.
Non temendo le possibili conseguenze imbarazzanti dell’ etica che professa, puo’ illustrarla senza tanti orpelli, sfumature e correzioni in corsa. Un intellettuale onesto fino in fondo. Merce rara.
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Bene, detto questo possiamo ricominciare: siete in fila dal macellaio per acquistare una braciola e vi coglie uno scrupolo etico: sarà giusto quel che state facendo? E’ il caso di procedere o di andarsene per abbracciare il vegetarianesimo una volta per tutte?
Se siete in procinto di compiere il grande passo forse vi interesserà sapere che:
… ordinando la braciola voi non danneggiate i maiali ma li aiutate
Eppure ordinando una braciola commissiono la morte di un maiale!
… errato… voi vi limitate a commissionare la carne di un animale già morto…
Sarà vero per quel maiale specifico ma per gli altri maiali che stanno nella fattoria o in allevamento?
… verranno uccisi comunque
Ma se contribuisco a comprimere la domanda di braciole la carneficina prima o poi cesserà o rallenterà. In effetti mi accorgo di avere a cuore soprattutto la vita dei “maiali futuri”, quelli che ora nemmeno sono nati.
… di male in peggio… dovrai infatti convenire che la tua azione li danneggia poiché i “maiali futuri” che avranno la fortuna di vedere la luce di questo mondo diminuiranno drasticamente anche per colpa tua…
Si sarà capito che per RH non esiste una relazione tra dieta vegetariana e riconoscimento dei diritti all’ animale, e laddove dovesse esistere sarebbe comunque una relazione inversa.
Cosa vi avevo detto? Abbiamo a che fare con un utilitarista tutto d’ un pezzo. Un vero osso duro.
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RH ci fa solo notare che l’ alternativa ai maiali dalla vita breve non sono maiali dalla vita lunga ma maiali dalla vita ancora più breve. Anzi, dalla vita inesistente.
Se così stanno le cose, secondo l’ etica conseguenzialista la scelta è obbligata.
… chi non consuma carne consuma altri alimenti la cui produzione impegna il suolo come se non più dell’ allevamento… è da escludere quindi che un longevo maiale selvatico rimpiazzi il maiale domestico…
Ecco allora la reale alternativa:
… bisogna decidersi se sacrificare la già breve vita di un maiale o quella di un asparago… e poiché l’ asparago non ha uno statuto morale degno di nota, la scelta in favore dei maiali s’ impone…
Ma questa è proprio la scelta che compie inconsapevolmente l’ amante di braciole. Da qui la conclusione:
… per chi ha a cuore i diritti degli animali consumare braciole non è solo consentito ma addirittura doveroso… Al contrario, la pratica vegetariana è di fatto immorale e dannosa per gli animali che si vorrebbe proteggere…
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E’ giusto o sbagliato creare vite che saranno poi interrotte?
… in un’ ottica utilitarista non solo è giusto ma è doveroso se sono vite che vale la pena vivere
Giudicare l’ esistenza di questa condizione non è facile, mettersi nei panni di un maiale d’ allevamento è impresa ardua:
… a mio giudizio la vita in allevamento e nelle fattorie vale la pena di essere vissuta… d’ altronde a giudicare dai maiali che ho visto sembra trasparire una sete di vita più che di morte… non hanno nessuna intenzione di “farla finita”…
Forse ha un certo peso anche il fatto che alcune razze siano selezionate esclusivamente per l’ allevamento, sopportano bene la loro situazione e fuori da quel contesto avrebbero ancora più problemi.
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Naturalmente il ragionamento di Hanson presenta dei punti deboli.
Non penso proprio che gli amanti delle braciole abbiano in mente niente del genere e mi chiedo allora se una scelta etica possa mai esistere senza un’ intenzione etica. Per un utilitarista non ci sono problemi, ma per noi?
Come possiamo poi sapere che un animale non voglia suicidarsi?
Forse non ha nemmeno le facoltà mentali per deciderlo.
Oppure non ha i mezzi.
D’ altro canto è pure vero che, quanto più ipotizziamo ridotte le sue facoltà mentali, tanto meno siamo indotti a farne un titolare di diritti.
Forse il suicidio è doloroso in sé, per quanto si desiderino le conseguenze che comporta. Dopotutto per i maiali non esistono cliniche svizzere con tutti i comfort.
L’ evoluzione puo’ aver sviluppato dei bias che ingannano il maiale circa la scelta migliore da compiere: il maiale fenotipo e il suo “gene egoista” avrebbero infatti interessi divergenti qualora il suicidio fosse la via preferibile per il primo.
Certo, il fatto è che molti di noi si suiciderebbero se ridotti a una vita da maiali di allevamento ma la cosa non sembra molto rilevante poiché molti di noi si suiciderebbero anche se costretti a una vita da maiali selvaggi!
Andrebbe evitata ogni antropomorfizzazione.
Eppure, come faccio a giudicare se non “antropomorfizzo” almeno un po’?
Forse un simile giudizio non è solo difficile, è impossibile. Meglio rassegnarsi. In questo caso però un pregiudizio in favore della vita sarebbe plausibile. O no?
Potremmo tagliare la testa al toro e decidere di non preoccuparci per la vita dei “maiali futuri”. Rinunceremmo però anche alla massimizzazione dell’ utilità generale uscendo di fatto dall’ ottica utilitarista. Senza contare che i maiali esistenti, come ricordava RH, sarebbero comunque spacciati e allora tanto varrebbe mangiarli.
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L’ opzione vegetariana è dunque immorale?
Direi che all’ interno di una prospettiva utilitarista l’ argomento di RH regge e suffraga per lo meno questa conclusione minimale.
L’ animalista coerente è tenuto a mangiare carne a più non posso?
Francamente nemmeno RH ha il coraggio di spingersi fino a un simile paradosso.
E allora, che fare?
Consiglierei chi intende rispettare in modo intelligente il mondo animale di mantenere la propria dieta carnivora, magari sobbarcandosi un supplemento di ricerca e di spesa per rifornirsi presso allevamenti conformi a certi standard. 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=O4-DET1gpvU]

Aggiunta:
Ieri ho letto sul corriere questa notizia: Alexander Songorwa, responsabile per i parchi e la conservazione delle specie selvatiche della Tanzania, con un appello sul NYT chiede aiuto ai cacciatori USA promettendo che il leone non verrà inserito tra le specie in pericolo. Obiettivo: salvare i leoni (consentendo di ucciderne di più). Se i turisti americani non potranno riportare i propri trofei a casa, inevitabilmente sceglieranno altre mete e altri tipi di caccia, il che significherebbe anche un declino dell'intero impianto di gestione dei grandi parchi africani. Perdere questo genere di turismo sarebbe rovinoso per gli sforzi di conservazione. I cacciatori spendono il triplo di un turista qualsiasi e spesso contribuiscono di tasca propria al ripopolamento. Songorwa è l'equivalente del nostro ministro dell'Ambiente, è un ambientalista impegnato a contrastare la terribile piaga del bracconaggio e interessato alla conservazione della fauna nella propria nazione.
Non so perché ma ho come l’ impressione che una notizia del genere stia bene in fondo a questo post.

giovedì 7 marzo 2013

SAGGIO Il dio della monetina

Come deve votare il buon cattolico?
Per quanto la Chiesa non dia indicazioni vincolanti, suggerisce di orientarsi verso quelle forze politiche disposte a dare battaglia in difesa dei cosiddetti “principi non negoziabili”, ovvero:
1. difesa della libertà di istruzione e di religione
2. difesa della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna;
3. difesa della vita dal concepimento al termine naturale.
In sé si tratta di battaglie alte e nobili, ma bisogna tener conto che in sede di voto va giudicata la loro natura politica.
E allora mi scappa una confessione: la prima battaglia mi entusiasma, la seconda molto meno.
La terza mi provoca sentimenti misti - tra aborto, eutanasia e testamento biologico c’ è una bella differenza! Meglio allora accantonarla evitando così l’ appesantimento dei distinguo.
Ma come tradurre un simile giudizio “di pancia” in un giudizio più meditato? Ci provo.
La prima battaglia sembra dire: “non siamo tutti uguali, lasciateci vivere a modo nostro”.
Mentre la seconda, di fatto, dice: “bene o male siamo tutti uguali, non consentite ad altri di vivere in modo differente da noi”.
Con la prima è come se si dicesse: “lasciateci sperimentare vie nuove alternative”.
Con la seconda, invece: “sappiamo già abbastanza, consentire la sperimentazione di vie nuove è un puro spreco di risorse”.
A questo punto spero che le cose siano un po’ più chiare: quanto più uno valorizza diversità e sperimentazione, tanto più abbraccia la prima battaglia e dubita della seconda.
Ma la sperimentazione puo’ trasformarsi in un valore?
Io penso di sì: rende umile la conoscenza e impedisce di abusarne.
Ci sono sublimi realtà ultraterrene che per la loro natura possiamo conoscere solo con il concorso della Grazia: che irresponsabile chi rifiuta tale illuminazione! Che provinciale chi parte con un atto di chiusura anziché con un atto di fiducia! Che ottusità dimostra chi non riversa sullo scettico l’ onere della prova.
Ci sono poi realtà mondane che possiamo conoscere grazie al metodo sperimentale: che presuntuoso chi rifiuta di mettere alla prova le proprie idee, che arrogante chi pensa che tutto si esaurisca nel proprio intuito, che atto di protervia dar peso solo alla propria esperienza personale, che grezza semplificazione ritenere che gli altri siano come noi o comunque sempre uniformabili a noi.
Le realtà mondane sono più disordinate e variegate di come ci piace rappresentarle. Per questo andrebbero accostate con umiltà.
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Se avete la mia età probabilmente da piccoli avrete dormito nella culla a faccia in giù:
… era il metodo più consigliato, reso famoso dal pediatra Benjamin Spock… se il bambino supino vomita è probabile che si soffochi nel suo vomito… e in effetti molti casi del genere furono riscontrati…
Oggi sappiamo che per alcune decine di migliaia di famiglie questo amorevole consiglio risultò fatale:
… il tasso di mortalità relativamente basso ha fatto sì che ci volessero anni per giungere alla verità su questa prassi…
Spock non fu certo accusato di infanticidio seriale, si era espresso in buona fede sulla base di ragionamenti plausibili e di un’ esperienza pluridecennale formatasi con tutti i crismi sul campo.
Fu solo nel 1988, dopo una serie rigorosa di sperimentazioni, che la prassi mutò:
… tra il 1970 e il 1988 morirono circa sessantamila neonati… la teoria e il buon senso causarono una strage degli innocenti…
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Nel XVII secolo Jan Baptist van Helmont sfidò i dottori dell’ epoca cercando di dimostrare che salassi e purghe non arrecavano alcun beneficio:
… tiriamo fuori dagli ospedali e dalle baracche 500 persone con febbre, pleurite eccetera. Dividiamole a metà, tiriamo a sorte quale metà viene con me e quale con voi: io li curerò senza purghe e salassi, voi fate come volete… vedremo quanti funerali avremo a testa…
Questa non fu l’ unica sfida lanciata da Helmont e a qualcuno lo strano dottore apparirà un po’ macabro, “contare i funerali” era il suo passatempo preferito. Eppure gli dobbiamo tanto, l’ applicazione reiterata delle sanguisughe su tutto il corpo è a dir poco sgradevole.

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Aceto, acido solforico, acqua di mare, noce moscata, sidro o agrumi? All’ epoca di James Lind non si sapeva bene come curare i malati di scorbuto, cosicché si puo’ capire il suo imbarazzo quando dopo otto settimane di navigazione ben trenta marinai cominciarono a soffrirne:
… il buon Lind mise da parte le sue convinzioni e il suo intuito per selezionare una dozzina di soggetti con la malattia al medesimo stadio… li divise casualmente per coppie somministrando a ciascuna coppia una cura differente…
Solo la coppia che mangiò arance e limoni migliorò, gli altri morirono. Qualcuno, con calma, scoprì in seguito che lo scorbuto deriva da una deficienza di vitamina C, ma in attesa dell’ annuncio, molte vite umane si misero in salvo.
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Sembra semplice procedere in questo modo  ma esiste un problema etico:
… una volta sorto il sospetto su quale sia la cura migliore… i problemi etici vengono a galla… come potremmo replicare l’ esperimento di Lind rifiutando arance e limoni?…
La cavia umana non è una cavia qualsiasi, puo’ dare il suo consenso. Affidarsi al consenso evitando paternalismi troppo soffocanti consente di aggirare l’ obiezione etica.
Quante vite hanno salvato i genitori che accettarono di far dormire proni i loro bimbi? E quante i marinai che accettarono di curarsi con l’ acido solforico? Il paternalismo forse li avrebbe protetti con la sua potente egida ma avrebbe condannando le generazioni future.
Oggi, in un’ epoca in cui il paternalismo non manca, la sperimentazione è presa di mira e i paradossi fioccano:
… il ricercatore che volesse condurre un esperimento controllato confrontando due cure differenti dovrebbe rispondere a un comitato etico… il medico che si limita a prescrivere una delle due cure basandosi su intuito ed esperienza personale, no… è semplicemente uno che fa il suo lavoro…
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Un altro sperimentatore indefesso fu Archie Cochrane 
… propose un esperimento per individuare le punizioni più efficaci contro la pessima condotta degli scolari: una lavata di capo, la detenzione o le frustate… non riuscì a convincere nessuno a inserire le frustate poiché ai più sembrava una cosa deplorevole…
Il fatto è che nelle varie scuole del paese gli studenti venivano frustati comunque e Cochrane dubitava che questa pratica funzionasse:
… l’ avversione al metodo sperimentale su questioni del genere fu tale da far prevalere uno scrupolo di coscienza in realtà infondato…
L’ equivoco di cui fu vittima Cochrane si manifesta ancora oggi. Non ci si rende conto che:
… spesso l’ alternativa agli esperimenti controllati sono gli esperimenti non controllati… i quali sono peggiori e insegnano poco o nulla…
***
Il metodo sperimentale soffre di un altro grave inconveniente: poiché i risultati sono imprevedibili, potrebbero dispiacerci e questo ci fa tentennare. Chissà perché ma noi ci affezioniamo ad alcune idee e soffriamo se chiamati dall’ evidenza ad abbandonarle.
Altre volte è persino peggio: sono in gioco veri e propri interessi materiali.
Archie Cochrane condusse un esperimento controllato sull’ efficacia delle cure coronariche, voleva verificare se i pazienti curati a casa reagissero meglio di quelli curati in ospedale:
… in un briefing divenuto famoso illustrò ai suoi colleghi che i gruppi di pazienti curati a casa mostravano una mortalità superiore. La maggior parte reagì dicendo: “Archie, se davvero hai un’ etica devi sospendere l’ esperimento impedendo che i pazienti continuino a curarsi a casa”. Archie li lasciò parlare a lungo finché non rivelò di aver mentito, i numeri dicevano il contrario, la mortalità era più elevata tra i pazienti curati in ospedale. Dopo questa rivelazione, anche se Archie non la pose direttamente, aleggiò a lungo una domanda: adesso i medici avrebbero forse preteso di chiudere immediatamente le loro unità? Naturalmente non fu così… ci si limitò a virare verso posizioni di scetticismo…
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Quali sono le conseguenze delle emissioni di biossido di carbonio sul clima globale?
Boh. Le osservazioni che possiamo fare e gli scenari che possiamo congetturare non sono rigorosi.
Ci sono questioni su cui a rigore non si puo’ sperimentare. Di “clima globale” ce n’ è uno solo e quindi la formazione di sottogruppi di controllo è preclusa.
Molti pensano che la realtà sociale non si presti a esperimenti. E’ troppo complessa e vede all’ opera una moltitudine di variabili interconnesse tra loro che non si fanno isolare in un laboratorio.
Le difficoltà non mancano, eppure, con uno sforzo ben calibrato, è possibile condurre anche in questo ambito esperimenti significativi.
Dirò di più, nelle scienze sociali il genio del ricercatore si manifesta più nell’ ideazione di esperimenti che nell’ ideazione di teorie.
Come misurare la “corruzione”, la “coesione comunitaria”, la moralità, il “capitale umano” eccetera? Non è facile, sono concetti sfuggenti. Ma non è nemmeno impossibile e ci sono esempi illuminanti che lo dimostrano.
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I cosiddetti “randomisti” hanno cercato di affrontare il problema delle politiche in favore dei paesi poveri. Come aiutarli sul serio?:
… se con le nostre donazioni non sappiamo se stiamo facendo loro del bene, allora non siamo molto diversi dai medici del medioevo con le loro sanguisughe…
Molte associazioni filantropiche si rivolgono a loro per indirizzare gli investimenti:
… l’ ICS finanziò un programma di assistenza scolastica fornendo testi di inglese, matematica e scienze… invece di distribuire il materiale scegliendo semplicemente le 25 scuole più meritevoli, o più facili da raggiungere, su consiglio di tre “randomisti” (Kremer, Glewwe e Moulin)… le scuole vennero selezionate a casaccio… Tutti i tradizionali metodi statistici suggerivano che i libri di testo avevano un effetto molto positivo sul rendimento scolastico… ma Kremer e compagni trovarono ben poche prove a sostegno… gran parte delle ONG non si sarebbero mai curate di fare analisi tanto meticolose… al contrario si sarebbero affidate alle analisi che confermavano l’ efficacia dei libri di testo… Si passò a sperimentare soluzioni alternative (grandi album, plastici illustrativi e altro materiale didattico) per concludere che il profitto scolastico s’ impennava maggiormente investendo… in medicine per la cura dei bambini affetti dai vermi… non è certo l’ idea che viene in mente per prima quando s’ intende promuovere istruzione e cultura in un paese povero come il Kenya…
Alcuni donatori si mostrarono a disagio: a loro piaceva pensarsi come diffusori di cultura e il finanziare la cultura distribuendo libri era per loro un “progetto vetrina” ottimale.
Non mancò nemmeno l’ obiezione etica, quella di chi sostenne: non si sperimenta sulla pelle dei bambini.
In questi casi la difesa canonica del “randomista” suona così:
… i fondi erano comunque insufficienti per un finanziamento generalizzato dei programmi e la sperimentazione si limitava a fare di necessità virtù…
A volte la provvidenza si manifesta sotto forma di “fondi insufficienti”.
***
Se siete persone di cuore che donano generosamente a favore dei più sfortunati, mi complimento con voi. Se poi avete l’ accortezza di donare ad associazioni che si fanno controllare dai randomisti, allora tanto di cappello.
[… ci sono tante associazioni meritevoli ma forse le più meritevoli sono quelle che si prendono la briga di controllare i meriti delle altre. Penso a GiveWell. Forse la donazione più oculata è proprio quella fatta alle società che testano le organizzazioni filantropiche, peccato che spesso siano “profit” e nell’ ambito della filantropia vige ancora l’ assurda distinzione tra “profit” e “no profit”…]
I randomisti si affidano alla “monetina”, il metodo del testa o croce doma la complessità e compie il miracolo di trasformare la semplice “correlazione” in “causa”.
Provo a darne una descrizione intuitiva: se suddividete il campione-cavia in sottogruppi e somministrare casualmente il trattamento, l’ interferenza delle variabili estranee tende a dissolversi.
Nel caso degli esperimenti sulle donazioni ai paesi sottosviluppati i gruppi potrebbero essere rappresentati dai singoli villaggi.
Esempio: c’ è il dubbio che la vicinanza del villaggio all’ acqua interferisca nell’ esperimento in corso compromettendo un giudizio equilibrato sull’ esito? Nessuna paura perché scegliendo a caso i villaggi ne avremo sia di vicini all’ acqua sia di lontani cosicché questa variabile estranea verrà neutralizzata.
E lo stesso varrà per tutte le altre, soprattutto le più insidiose, ovvero quelle a noi ignote e a cui non avremmo mai pensato.
Fuori dall’ accademia i randomisti devono lottare duramente per conquistarsi un credito:
… è imbarazzante difendere un sistema che lancia in aria una monetina…
In effetti il dio della monetina è un dio minore, un dio in incognito e senza pretese, disprezzato dai più; ma forse è proprio a lui e alle sue scarne indicazioni che dobbiamo rivolgerci per capire e agire assennatamente.
***
Gli esperimenti non finiscono mai.
Questo forse non è molto chiaro al profano il quale spesso sente parlare di “comunità scientifica” e pensa che esistano delle “verità ufficiali” di fronte alle quali proseguire la sperimentazione è insensato. Una simile idea non consente di capire che in ambito scientifico le verità emergono in modo decentralizzato:
… in science truth is not established by an authoritative committee but by a decentralized process which (sometimes) results in everyone or almost everyone in the field agreeing…
L’ idea di verità ufficiale e di comunità scientifica soffre di un difetto insormontabile:
Part of the problem with that approach is that, the more often it is followed, the less well it will work. You start out with a body that exists to let experts interact with each other, and so really does represent more or less disinterested expert opinion. It is asked to offer an authoritative judgement on some controversy: whether capital punishment deters murder, the effect on crime rates of permitting concealed carry of handguns, the effect of second hand smoke on human health.
The first time it might work, although even then there is the risk that the committee established to give judgement will end up dominated not by the most expert but by the most partisan. But the more times the process is repeated, the greater the incentive of people who want their views to get authoritative support to get themselves or their friends positions of influence within the organization, to keep those they disapprove of out of such positions, and so to divert it from its original purpose to becoming a rubber stamp for their views. The result is to subvert both the organization and the scientific enterprise, especially if support by official truth becomes an important determinant of research funding.
Insomma, anche gli esperimenti vanno sperimentati attraverso una concorrenza continua e paritaria. La monetina non deve mai smettere di rotolare!
Jeffrey Sachs è un grande nemico dei randomisti, lui non crede affatto che una monetina possa “domare la complessità”, un progetto ha qualche chance solo se sufficientemente vasto da coinvolgere tutto il contesto: l’ intuito maturato con una grande esperienza sul campo valgono più delle monetine. Anche per questo si dedica a progetti ambiziosi e molto articolati da implementare globalmente nell’ intero Paese che intende aiutare.
In linea di principio anche le sue geniali architetture d’ aiuto potrebbero essere testate, tuttavia Jeffrey ha deciso diversamente:
… dubito del valore etico di questi test… mi fa star male lavorare in un villaggio privo persino di zanzariere…
In realtà quella di Jeffrey è una caricatura dei randomisti:
… così come in campo medico le nuove medicine vengono messe a confronto con le migliori esistenti… lo stesso vale nell’ economia dello sviluppo: laddove i fondi non mancano, le ricette alternative vengono confrontate con le migliori ricette già esistenti… aiuti in natura, per esempio, vengono confrontati con aiuti in denaro che la popolazione puo’ spendere come crede…
E’ davvero difficile capire dove stia il problema, tranne per le persone che si sono convinte in anticipo di conoscere la soluzione.
Oppure per le persone che amano esibire i frutti del proprio lavoro:
… certi approcci attirano le donazioni più di altri… concentrando le risorse puoi ripulire per benino un villaggio facendo vedere subito al mondo intero quel che hai fatto… puoi mostrare l’ esito dei tuoi sforzi e il destino delle donazioni… anche se l’ effetto inizialmente sfolgorante è destinato a sbiadire inesorabilmente nel tempo…
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Un randomista deve poter valutare cosa funziona e cosa no. Non è sempre facile.
Diventa fondamentale organizzarsi per raccogliere i vari feedback. Questa esigenza contrappone, almeno a livello di slogan, i randomisti ai no-global:
… anziché creare un mondo migliore dobbiamo creare un mondo con cicli di feedback migliori…
I genitori che pagano per la scuola frequentata dai figli si attivano per raccogliere feedback accurati ma un donatore che sostiene un progetto di sviluppo nel terzo mondo ha molte più difficoltà se vuole toccare con mano l’ opera a cui contribuisce, probabilmente non incontrerà mai i beneficiari, non parlerà mai con loro ma soprattutto non parlerà mai con chi ha ricevuto aiuti in forme diverse.
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Paul Romer è un tipo particolare. Recentemente ha rifiutato il ruolo di economista capo alla Banca Mondiale perché vuole inseguire un suo sogno. E’ un po’ come se un Sacerdote si rifiutasse di diventare Papa per poter seguire i monelli dell’ oratorio.
Romer vorrebbe creare una nuova Chicago in Congo, il suo progetto è noto come “charter city”:
… le charter city sono città a statuto speciale, autonome rispetto alle aeree circostanti, dotate di proprie infrastrutture e di una propria legislazione…
Dal Vaticano, ai comuni italiani fino a Lubecca per arrivare a Singapore, Dubai e Hong Kong, gli esempi di città stato di successo non mancano ma Romer, anziché affidarsi alla storia, vorrebbe affidarsi agli sperimentatori.
Una specie di neo-colonialismo sui generis:
… il Paese povero dovrebbe cedere volontariamente la sovranità di un suo territorio a un Paese straniero affinché quest’ ultimo faccia sorgere lì la sua charter city…
La charter city è una specie di bolla legale-amministrativa e una zona franca sul piano economico:
… Cuba e gli USA potrebbero accordarsi per cedere al Canada la baia di Guantanamo affinché venga trasformata in una Hong Kong caraibica…
La tutela straniera offrirebbe credibilità a quei territori e i cittadini locali voterebbero con i piedi trasferendosi dove credono. La concorrenza tra “neo colonizzatori” sarebbe la benvenuta:
… riformare le normative di un paese è impresa non da poco ma costruire una piccola città dove tali normative siano più semplici è relativamente facile…
Si conta molto sul contagio delle pratiche migliori.
In fondo, se la Cina è diventata la super potenza economica che è, probabilmente lo si deve ai successi precedenti di un impertinente dirimpettaio come Hong Kong:
… si tratta di esperimenti abbastanza grandi da cogliere la complessità della vita sociale ma abbastanza piccoli da consentire che una dozzina o una centinaia di esperimenti simili possa svolgersi in parallelo…
La charter city offre un meccanismo ottimale per distinguere successi e fallimenti:
… se una di loro non riuscisse ad attrarre i cittadini o il mondo degli affari, il fallimento sarebbe irrimediabile… il diritto dei cittadini ad andarsene garantisce un giudizio spassionato sull’ esperimento…
La libertà di scelta, oltre a tutelarci contro l’ obiezione etica, ci garantisce un feedback importante.
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Il metodo sperimentale è faticoso ma garantisce solidi progressi nella conoscenza della realtà, sia quella fisica che quelle sociale.
L’ obiezione etica si supera affidandosi alla responsabilità individuale, quella metodologica affidandosi alla creatività dei ricercatori.
Nella storia poche istituzioni hanno esaltato l’ umiltà, la libertà e la creatività umana quanto la Chiesa Cattolica. Spero allora che la sensibilità a questi valori si rifletta al più presto in una dottrina sociale orientata sempre più al metodo sperimentale.
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Le ultime righe me le prendo per una precisazione.
Primo, sono stato troppo critico verso la Chiesa? Pretendo forse di “insegnare al Papa il suo mestiere”?
Spero di no, il mio è solo un atto di sincerità e a dirla tutto non comprenderei un’ accusa del genere.
Secondo, con un simile post m’ iscrivo di fatto al club dei cosiddetti “cattolici adulti”?
No.
Il mio intento non è quello di contribuire in modo critico all’ avanzamento e alla modernizzazione della Chiesa.
Dicendo quel che dico non mi arrogo dei meriti, semmai delle colpe. L’ unico merito, al limite, consiste nel non dissimulare le colpe. La mia è una confessione più che un contributo.
Insomma, se devo pensare a un contesto per questo sfogo, il confessionale forse è più adatto dell’ agorà.

mercoledì 6 marzo 2013

Aborto e conseguenzialismo

I pro choice non potranno mai dirsi "conseguenzialisti". Come potrebbero mai barattare nove sgradevoli mesi della vita di A con l' intera vita di B?

sabato 2 marzo 2013

SAGGIO Undicesimo: non inquinare.

In tema di “comandamenti” da rispettare, diffidate delle liste pletoriche.
E intendo come tali quelle che vanno oltre i due punti.
Il fatto è che a queste regole di vita non basta attenervisi, bisogna farlo con coscienza, ovvero con qualcosa che va facilmente in panne se sfrucugliato di continuo.
La famigerata “coscienza ambientale”, poi, è particolarmente delicata: inoculata nell’ inerme bambino insieme all’ antipolio, viene successivamente innaffiata da un esercito di maestrine premurose e fatta sbocciare da benemeriti insegnanti di lettere specializzati nel prenderti da parte blandendo la tua precoce maturità e indirizzandola verso “impegni esistenziali” all' altezza: a quel punto, una volta ti buttavi su Pavese, oggi ti butti su Gaia. Più tardi, nell’ era dei cinismi universitari, scoccherà il colpo di fulmine nei confronti di oscure quanto seducenti equazioni di terzo grado messe a punto da “parascienziati verdi” con tribuna sui giornali di Confindustria (i vari Napoletano & Riotta devono lavare una coscienza sporca) o nella TV di Stato (i vari Tozzi & Colò devono ostentare una coscienza immacolata).
Usciti dal doveroso tunnel catechistico della giovinezza, non si guadagna molto in termini di condizionamento cognitivo: nel bel mondo, nicchiare sull’ argomento del risparmio energetico ti rende riprovevole moralmente ed esteticamente; e se sei tanto sprovveduto da cascarci, ti ritroverai presto alle calcagna i monopolisti del buon gusto con la bava alla bocca e l’ oscillante ditino alzato. Il prezzo da pagare sarà salato: prediche a gogò intonate alla luce del sole e sabotaggi orditi nell’ ombra.
Sfortunatamente, la causa ambientalista si materializza sempre più spesso in una sequela di fedeli che hanno smesso di “credere” per poter “abboccare”; e proprio come desidera ogni buon fedele ottuso, la loro è una chiesa particolarmente esigente con tanto di roghi e scomuniche, ma soprattutto con liste sterminate di prescrizioni a cui è tenuto anche il miscredente (il concetto di laicità qui non attecchisce). Per tenersi al passo e non essere indicate al pubblico ludibrio, persino le chiese  tradizionali hanno dovuto postillare in fretta e furia i loro scheletrici decaloghi: undicesimo, ricicla!
A questo punto scatta la domanda impertinente: ma la “coscienza ambientale” è uno strumento per preservare il pianeta o per guadagnarsi un qualche Paradiso post-moderno?
Il sospetto che per molti “ambientalisti-devoti” valga la seconda ipotesi è solido. In questo post cercherò di rafforzarlo ulteriormente.
AMBIENTTTTT
… nessuno ha più dubbi riguardo alla presenza di un effetto serra… a essere oggetto di dispute è invece quanto ce ne dovremmo preoccupare e cosa dovremmo fare…
Il primo problema è troppo difficile, implica analisi delle preferenze, considerazioni etiche intorno alle generazioni future e altri labirinti filosofici da cui non saprei bene come uscire. Quindi lo accantono.
Il secondo sembra invece avere una risposta molto semplice: “non inquinare”.
E’ la tipica risposta degli ambientalisti, ed è anche il motivo per cui una persona ragionevole conclude che “l’ ambiente è una cosa troppo seria per lasciarla agli ambientalisti”:
… chi risponde così confonde l’ importanza del problema con la semplicità delle soluzioni… è tipico della mentalità “verde” mescolare senza costrutto obiettivi e programmi…
Innanzitutto non è facile “rispettare il pianeta”, occorre una cultura spaventosa, oltre che una calcolatrice sempre a disposizione:
… chi nei consumi sostituisce il caffé con il latte forse non sa di inquinare di più… avendo nella testa le giuste nozioni e tra le mani una buona calcolatrice potreste scoprirlo da soli… ma non è facile come sembra…
I fanatici dello slow food, per esempio, si credono  “amici della terra” a prescindere; illusi:
… comprare prodotti locali riduce i trasporti ma spesso è controproducente… il cibo importato proviene da luoghi con condizioni climatiche molto più adatte… consumare l’ agnello italiano piuttosto che quello neozelandese ci rende degli “inquinatori netti” del pianeta… privilegiare i pomodori nostrani su quelli spagnoli è una scelta maldestra per chi tiene alla propria “coscienza ambientalista”… le emissioni dei TIR sono ampliamente controbilanciate dal fatto che la Spagna è baciata dal sole… il vino cileno deve viaggiare intorno al mondo ma per un inglese sensibile all’ ambiente è da preferire di gran lunga a molti vini locali… spesso il supermercato è rifornito con silos capienti che minimizzano il numero dei trasporti a lunga distanza e inoltre è più prossimo del contadino verso cui fate la spola incessantemente per fare le vostre piccole spesucce e meritarvi il titolo di “amico della terra” che compra a km/zero… e non preoccupatevi troppo del sacchetto di plastica, sprigiona un millesimo dell’ anidride carbonica emessa per ottenere i cibi che contiene…
Capito quante cose bisogna sapere? A quanto pare un compito arduo anche per chi possiede una cultura sopra la media come i fanatici dello slow food (che se si limitassero a magnare sarebbero più simpatici e farebbero meno gaffe).
I calcoli sono complicati e riservano sorprese:
… il classico bus londinese trasporta in media 13 persone mentre l’ auto 1,6… è quest’ ultima, di conseguenza, ad avere l’ impatto ambientale più favorevole!… anche la lavastoviglie consuma meno anidride carbonica del lavaggio a mano…
Fare l’ ambientalista serio è una vitaccia. Inquinare meno è un mestiere a tempo pieno, richiede una vita spesa nello studio delle emissioni di anidride carbonica. Calcolare l’ “impronta di carbonio” per ogni oggetto con cui interagiamo o interagisce colui con il quale interagiamo (o…), impegna tempo ed energie: gli esiti, poi, sono sempre da rivedere, e anche limitandosi a un esame sommario ci sono migliaia di fattori di cui tenere conto:
… nel momento in cui ci sentiamo stremati dal calcolo… capiamo anche che lo sforzo profuso è ancora insufficiente… decidendo di consumare quella bevanda locale al bar sotto casa, abbiamo scordato di soppesare il pendolarismo del barista che ce la serve, nonché i doppi vetri del locale e gli spostamenti del contadino che fornisce quei semini così caratteristici… si tratta forse delle variabili più importanti e noi le abbiamo trascurate per anni… insomma, ci sono miliardi di scelte tutte concatenate tra loro che sfuggono anche al controllo dei “ben intenzionati”…
Non contate troppo sul parere degli esperti, divergono quasi sempre, e la cosa è più che ragionevole: basta considerare, che ne so, condizioni di traffico leggermente diverse e i conti non tornano più:
… ci sono stati epocali scontri di civiltà sull’ “impronta ambientale” delle banane… non resta che girare con una pila di ricerche al seguito da consultare di frequente… e attenzione ai frequenti aggiornamenti della letteratura!…
Forse il modo migliore di fare colazione salvando il pianeta consiste nel “non fare colazione”. Più ti astieni, meno inquini e chi si sopprime inquina ancora meno.
Tuttavia, su questo versante gli eroi scarseggino. L’ ambientalismo non occupa mai per intero la nostra coscienza – e per fortuna!-, convive, per esempio, con la voglia del caffelatte. Ma soprattutto non occupa minimamente quella della maggioranza delle persone, a cui sarebbe risibile proporre una scelta vegana. Se è impossibile “non consumare” in generale, la scelta di “cosa consumare” riemerge continuamente.
AMBIEEEE
Per fortuna esiste una soluzione. E’ semplice, precisa, razionale, di facile implementazione e non richiede programmi ambiziosi: prezzare l’ anidride carbonica.
… un accordo intergovernativo dovrebbe proporre una tassa di X euro per tonnellata di carbonio contenuto nel combustibile fossile estratto… incassata dai produttori e veicolata nel sistema dei prezzi di mercato, verrebbe ddiffusa tra i cittadini…
Ogni prodotto che “consuma” energia comincerebbe a riflettere in qualche modo la presenza di un simile balzello:
… un camionista che ignorasse l’ eventuale prezzo più alto del gasolio finirebbe semplicemente fuori mercato e lo stesso accadrebbe per che coltiva pomodori in serra…
Prezzare l’ anidride carbonica risolve senza sprechi il problema degli incentivi alle fonti alternative: quelle che funzionano davvero (e solo quelle!) diverranno automaticamente convenienti.
AMBIEN
La bontà della soluzione proposta salta all’ occhio soprattutto se confrontata con le alternative scellerate ma tanto care ai sedicenti ambientalisti.
Prendiamone in considerazione una che compendi in qualche modo anche le altre:
la legge Merton prevede che ogni intervento edilizio dovesse ricomprendere la capacità di generare almeno il 10% in termini di energia rinnovabile di cio’ che l’ edificio avrebbe consumato in futuro…
All’ apparenza la norma offre, a zero spese per il governo, un sistema semplice e intuitivo per incoraggiare qualcosa che la gente ritiene auspicabile.
Ma:
… il prevedibile inconveniente è che aver installato uno strumento per rinnovare l’ energia non significa automaticamente che verrà utilizzato
Ci si mette a posto con la legge, dopodiché si fa cio’ che conviene. L’ effetto netto è un puro spreco di risorse con vantaggi nulli sull’ ambiente: installo i pannelli solari, incasso le licenze (e magari anche i finanziamenti) per poi continuare a inquinare esattamente come prima.
Siccome le regole ottuse sono il prodotto di menti ottuse, la possibilità che si perseveri di fronte a fallimenti lampanti sono alte. Infatti alcuni amministratori hanno posto l’ obbligo di utilizzo delle rinnovabili istallate per avere le licenze. Cosa è successo?
… immaginatevi i controlli ipertrofici necessari… con un battaglione di vigili urbani che piantonano le vostre caldaie per misurare l’a percentuale di utilizzo di quelle a pellet rispetto alle tradizionali…
Ma c’ è di peggio, lasciamo la parola all’ Ing. Palmer che ha recentemente restaurato l’ Elizabeth House:
… date le dimensioni dell’ edificio, per adempiere alla norma, abbiamo progettato una caldaia a biomassa con un deposito per il combustibile grande come una piscina di 25 metri… al fine di soddisfare il fabbisogno di (soli) 14 giorni (!)… Ho calcolato che per mantenere a livello il deposito con ciocchi di legno e truciolato dell’ IKEA fosse necessario che due camion di circa 40 tonnellate ciascuno facessero un viaggio settimanale dalla periferia fino al centro di Londra scaricando il contenuto nell’ area preposta…
A questo punto spero che anche gli entusiasti della legge Merton avranno smesso di saltellare gioiosamente e si siano messi in ascolto.
Altri inconvenienti? Le riparazioni.
… i proprietari dell’ edificio non saranno contenti di riparare costose apparecchiature… specie perché spesso sono tecnologie ancora poco mature… se qualcuno mette dei pannelli fotovoltaici che si guastano subito dopo la garanzia… è ben difficile che abbia voglia di mettere mano al portafoglio per sostituirli quando i finanziamenti sono ormai incassati e ha una caldaia tradizionale a disposizione…
Altri inconvenienti? L’ efficienza:
… una grande turbina eolica in cima alla collina puo’ essere anche efficace ma una piccola turbina sul mio tetto circondato da edifici più alti e messa lì solo per ottenere una licenza edilizia, lo è decisamente meno…  
Altri inconvenienti? L’ ottusa pervicacia nel perseverare:
… è possibile che persino l’ ambientalismo più sciagurato, se lasciato a se stesso, impari dai propri errori… ma le normative di governo, per loro stessa natura, tendono in qualche modo a essere impermeabili alle opportunità di miglioramento…
Altri inconvenienti? Trovateli voi, è facile!
Visto che casino? E per carità di dio non apro il capitolo tragicomico dell’ “etanolo” dove i “benintenzionati”, con tutto l’ apparato di regolamenti e contro regolamenti che si portano sempre dietro, hanno fatto una specie di strage degli innocenti.
AMBIENNN
La carbon tax funziona perché non è un “progetto” ma si affida all’ evoluzione economica. L’ ideale per sciogliere nodi intricati. Questo almeno per chi crede che…
… l’ evoluzione è più intelligente di noi… lasciandola lavorare scatena milioni di esperimenti individuali volti al taglio delle emissioni di anidride carbonica per il solo motivo che tagliare le proprie emissioni fa risparmiare soldi…
La soluzione carbon tax non richiede di dare percentuali (sballate), di dare soglie (opinabili), di definire (arbitrariamente) cosa sia e cosa non sia “rinnovabile”, non verranno implicati giudizi arbitrari
… ma soprattutto, le apparenti debolezze si trasformeranno in punti di forza…
Esempi? Prendiamo un’ apparente debolezza: chi paga? Risposta semplice e sorprendente:
… non importa!…
Altra apparente debolezza: quali conseguenze (da un economia con carbonio ad alto costo)? Risposta:
… non lo sappiamo, e questo è il bello!… l’ evoluzione economica, inclinando il campo da gioco secondo nuove regole, cioé rendendo i "gas serra  più costosi, produrrà esiti inattesi… I governi non sono tenuti a scegliere modi specifici per salvare il pianeta ma solo a “inclinare il campo da gioco”…
Veniamo all’ ultima apparente “debolezza” della soluzione evolutiva, quella più sintomatica:
… il prezzo è qualcosa di cui teniamo conto tutti a prescindere dalla nostra coscienza ambientale…
Orrore: la coscienza ambientale non serve più per salvare il pianeta, basta soppesare prezzi e voglie, proprio come fa da sempre il buon vecchio consumista.
E che ce ne facciamo adesso delle vaccinazioni già pronte, dell’ esercito di maestrine premurose, dell’ insegnante missionario, dei guru verdi che pontificano sulla TV di stato e sull’ organo di Confindustria? Dei monopolisti del buon gusto? Che ce ne facciamo di un’ intera chiesa con tutti i suoi riti e i suoi chierichetti?
Risposta da dire con gli occhi: niente, li buttiamo nel cesso e tiriamo lo sciacquone.
La cosa puo’ dispiacere solo a chi considera la “coscienza ambientale” uno strumento per guadagnarsi l’ accesso a Paradisi post-moderni in cui San Pietro alza la sbarra solo a chi “ricicla & coibenta” a prescindere. Ecco, a tutti gli scornati del caso consiglio caldamente di indirizzare la loro prorompente spiritualità verso i meno evanescenti Paradisi della tradizione.
AMBIENTTTT

venerdì 1 marzo 2013

SAGGIO Apologia di Cimabue

Il bizzarro compito dell’ economia è di dimostrare quanto poco sappiamo di quel che pensiamo di sapere.
August Frederich Von Hayek – La presunzione fatale

Il nuovo libro di Tim Harford è ispirato da una semplice considerazione:
… ci vorrebbe una vita per costruire un tostapane… eppure, cosa incredibile, se ne trovano sotto casa di affidabili ad un costo che non supera l’ ora di lavoro…
Thomas Twaites qualche anno fa tentò di realizzarne uno partendo da zero, e mal gliene incolse. In fondo, pensava il tapino, basta solo mettere insieme 400 pezzi.
… decisi di semplificarmi la vita copiando il modello più rudimentale… per il ferro mi recai nelle miniere del Galles… devo ammettere che ne approfittai per una vacanza… per il rame, dopo un contatto abortito con i cileni, ripiegai sull’ elettrolisi applicata alle acque inquinate presso un vecchio impianto di Anglesey… Il nickel tentai di procacciarmelo fondendo delle monete d’ epoca e riciclando il materiale filamentoso presso i laboratori messi graziosamente a mia disposizione dal College. Alla mica rinunciai facendomela spedire direttamente da produttori inglesi… per la plastica chiesi il permesso alla BP di recarmi su una piattaforma e ottenere così petrolio greggio, permesso rifiutato… mi detti così da fare con l’ amido di patate… un’ esperienza allucinante… alcune lumache si divorarono tutto nottetempo… ma alla fini riuscii a ottenere una quantità minima…
Nonostante anni di lavoro frustrato, sforzi erculei e  molti compromessi, il prodotto finito era di forma piuttosto… “amorfa”:
… ma funzionava!… almeno in certe condizioni: quando lo attaccavo a una batteria il tostapane scaldava… purtroppo quando l’ ho attaccato alla corrente si è… auto-tostato…
Morale: viviamo in un mondo complicato dove anche la produzione di un articolo banale come il tostapane va al di là di ogni umana comprensione. Oltretutto questo genere di problemi è da classificare tra i “semplici”:
… è difficile che il pane assuma per sé un ruolo attivo… non risponde alle tue strategie… non mette in campo contro-mosse, non cerca di fregarti come farebbe una squadra di banchieri d’ investimento… non cerca di ucciderti come potrebbe fare una cellula terroristica… non interagisce… sta semplicemente lì ad attendere la tua soluzione… in un certo senso si potrebbe dire che lui, poverino, “collabora”…
Inoltre:
… su piazze importanti come Londra e New York vengono offerti dieci miliardi di prodotti diversi, spesso molto più complicati di un tostapane…
Che dire?
La conclusione è che ci sono dei veri e propri “miracoli laici” a cui ci siamo abituati e che ora diamo per scontati.
Costruire un tostapane è un’ impresa titanica, come del resto costruire una matita quale la conosciamo (chiedere a David Thoreau).
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE]

 Eppure, proprio quando ne abbiamo bisogno, sia il tostapane che la matita sono lì che ci aspettano a pochi metri da casa nostra e a costi irrisori. Chi ha realizzato l’ impresa? Chi ha coordinato la miriade di persone coinvolte nel progetto? Sarebbe bene scoprirlo visto che questo genio ci ha arricchito come non mai nella storia dell’ uomo.
Certo che, al di là del mistero, c’ è da essere orgogliosi:
le società del passato, dal feudalesimo all’ economia pianificata, avevano tentato di perseguire questo obiettivo fallendo miseramente…
Ma anche preoccupati:
… il tostapane e la matita sono simboli di quanto sia sofisticato il mondo che abbiamo costruito ma anche degli ostacoli che attendono chi intende cambiarlo…
Veniamo ora alle possibili risposte.
Forse il segreto sta nello studio. Con tutte le università, i professori e gli scienziati che circolano, i problemi, anche i più ostici, si sciolgono come neve al sole, dove il sole è rappresentato proprio da cotante intelligenze e dalla moltitudine di biblioteche a loro supporto.
Errato. Le soluzioni  di cui parliamo non possono stare in una testa, e nemmeno in poche e selezionate teste chiamate a interagire in una torre d’ avorio.
Perché, faccio per dire, Obama o Berlusconi hanno deluso?
… tutti si aspettavano troppo da un unico essere umano o dal pool di esperti che costui poteva mettere insieme… abbiamo un tremendo bisogno di credere nell’ efficacia di un leader… quando la sfida è complicata cerchiamo un genio che l’ affronti in nostra vece… l’ errore non sta nell’ avere eletto i candidati sbagliati ma nel sovrastimare le reali possibilità che una leadership nel mondo moderno ha di raggiungere certi obiettivi…
Philip Tetlock, in vent’ anni di ricerche, ha indagato a lungo i limiti dell’ expertise in politica:
… nel verificare le previsioni raccolte abbiamo notato errori sistematici… sintomo delle difficoltà incontrate dal “professionista” nel comprendere e dominare la complessità sociale… certo, la differenza con il profano è evidente… tuttavia, sulla base di un qualsiasi standard oggettivo, i benefici dell’ expertise restano davvero modesti…
Se uno legge Tetlock, sembra emergere chiaramente una lezione talmente radicale che l’ autore stesso è restio a trarre: “pensa con la tua testa!”.
Se con la politica andiamo male, con il management andiamo anche peggio. Vi ricordate il libro di Peters e Waterman “Alla scoperta dell’ eccellenza”?
… in uno studio accurato sull’ eccellenza nel mondo degli affari… i due guru misero assieme una serie di giudizi creando una lista di 43 imprese governate in modo eccellente…
Solo 2 anni dopo Business Week pubblicò un articolo intitolato: “Oops… e adesso chi è eccellente?”. Delle 43 aziende un terzo era fallito o versava i gravi guai finanziari.
C’ è da meravigliarsi?
… no… Leslie Hanna stilò una lista delle aziende più potenti del 1912… dieci delle prime cento sparirono nel giro di un decennio… e più della metà negli ottanta anni successivi…
Eppure è proprio il mondo delle imprese che con un suo bidibibodibibu tutto particolare realizza sia il miracolo del tostapane che quello della matita! La lezione da trarre:
… sembra che il fallimento sia parte integrante di un mondo in grado di risolvere problemi sofisticati… e il bello è che i tassi di fallimento sono ancora più elevati nei settori nuovi e dinamici…
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=2E3dNqhXndE]
Ma perché un sistema vincente è così ricco di fallimenti?
… in parte perché i problemi sono complicati, lo abbiamo visto… in parte perché per sopravvivere non è sufficiente essere bravi, bisogna essere i migliori… se sei solo “bravo” l’ estinzione è il tuo destino…
C’ è spazio per pochi, come sul podio delle Olimpiadi.
I settori economici “tranquilli” sono anche i più stagnanti:
… l’ industria di maggior successo degli ultimi 40 anni, quella informatica, è stata costruita un fallimento dopo l’ altro… proprio come il tostapane che ha mandato in tilt Thomas Thwaites, è a sua volta il risultato di tentativi ed errori… il mercato trova a tentoni la via giusta…
I biologi hanno una parola per descrivere quel processo che seleziona il meglio grazie agli insuccessi: evoluzione.
L’ evoluzione ha qualcosa di sconcertante…
… data la nostra istintiva convinzione che problemi complicatissimi richiedano soluzioni a tavolino progettate da cervelloni altrettanto raffinati… rimaniamo spiazzati nell’ apprendere che l’ evoluzione… ovvero lo sciogli-nodi più potente in natura… sia così semplice e in gran parte casuale:… applichi una variante a cio’ che hai, elimini gli errori e ti tieni i successi, e così all’ infinito…
Il “prova e sbaglia” non è altro che l’ algoritmo evolutivo:
… l’ unico in grado di raggiungere un buon compromesso fra la scoperta del nuovo e lo sfruttamento di cio’ che è già noto…
E’ un algoritmo che ci ha regalato molte “soluzioni”:
… in biologia la fotosintesi, l’ occhio, il latte della mamma… nel commercio la contabilità a partita doppia, la cambiale, il 3 X 2…
Molti, forse a causa degli stipendi profumati, pensano che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere grandi qualità. Ma come si concilia la “meritocrazia” con la “cecità” evolutiva?
Si concilia male, molto male. E le ricerche del “fastidiosissimo” economista Paul Ormerod ce lo ricorda continuamente:
… Ormerod ha studiato le statistiche sulla morte dei giganti industriali e le ha comparate con  dati della storia dei fossili nell’ ultimo mezzo miliardo di anni… rilevando che la configurazione delle estinzioni è alquanto simile per picchi e frequenze… le estinzioni biologiche e quelle aziendali sono affini…
Piuttosto inquietante:
… se le aziende fossero davvero in grado di elaborare strategie di successo… allora l’ estinzione delle aziende dovrebbe assumere caratteristiche del tutto differenti dall’ estinzione biologica… che é in gran parte casuale…
L’ evoluzione casuale è migliore dei manager superpagati.
Sembrerebbe che la Apple possa sostituire Steve Jobs con una scimmia che gioca a freccette!
Le cose non stanno proprio così, anche se è buona cosa pensare al merito come a un algoritmo più che a qualcosa con nomi e cognomi o a prestigiose Università. Purtroppo o per fortuna il ruolo del caso nei successi personali tende a essere sottovalutato mentre la mossa decisiva sta proprio nell’ indirizzare correttamente questa forza a livello di sistema.
Per chiudere la sezione mi permetto solo di ricordare che l’ analogia evoluzione/mercato non bisognerebbe spingerla troppo oltre, altrimenti qualcuno pensa davvero che siano la stessa cosa e attacca la tiritera sul “capitalismo darwiniano”.
***
Procedere per “tentativi ed errori”, ecco il segreto per sciogliere i mega-nodi più tenaci. Ma perché siamo tanto restii ad applicare la ricetta che Madre Natura ci propone come la più efficace?
… la reputazione di “voltafaccia” sembra essere un insulto… ma se prendiamo sul serio il metodo empirico, cambiare opinione molto spesso dovrebbe essere la norma… una flessibilità da esibire con orgoglio… e invece c’ è chi si vanta perché “tira dritto” per la sua strada… o perché non fa mai “marcia indietro”… o “non tradisce” le sue idee…
Dovremmo allora valorizzare meglio la nostra “formula vincente”…
… in modo da sfruttarla per affrontare problemi all’ apparenza irrisolvibili: cambiamenti climatici, guerre civili, instabilità finanziaria… presto vedremo come…
***
La Storia ci mostra come l’ orrore per gli errori sia un errore madornale. Un esempio?
Si dice che l’ economista sia uno “scienziato senza laboratorio”, questo non è del tutto vero: l’ Unione Sovietica fu un immenso laboratorio:
… dire che l’ Unione Sovietica si è rivelata un disastro non è una novità, ma i motivi particolari per cui il progetto è fallito vengono spesso trascurati…
Persone crudeli hanno recentemente rispolverato i peana innalzati da Eugenio Scalfari ai successi che l’ Unione Sovietica ottenne in campo economico. Con un uomo anziano certe cose non si fanno, soprattutto se entusiasmi del genere erano condivisi da molti, negli anni cinquanta. Ok, Scalfari fu un mezzo fascista e un mezzo comunista, ma chi in Italia non lo fu? Pochi benemeriti che si contano sulle dita di una mano.
I fascio-comunisti a metà sono in genere dei moralisti tutto d’ un pezzo e la mostruosa macchia morale dell’ Unione Sovietica è ormai captata anche dalle loro sensibili antenne. Sul piano economico, invece, le cose restano ancora oggi molto più elusive:
… tendiamo a pensare che l’ economia pianificata sia crollata perché mancava l’ effetto galvanizzante della ricerca di un profitto… ma questo non è del tutto vero perché l’ URSS era pieno di personaggi creativi a prescindere dall’ esca… e non mancavano nemmeno le tecniche motivazionali e gli incentivi sia positivi che (orribilmente) negativi…
Le lacune endemiche del sistema vanno forse cercate (anche) altrove…
… in una patologica incapacità di sperimentare… per i pianificatori è impossibile tollerare un’ autentica varietà di metodi per risolvere un problema… l’ ingegnere sociale ha in mente solo problemi ingegneristici: un problema, una soluzione… il resto è “spreco” di risorse… nella città modello di Magnitogorsk esistevano solo due tipi di abitazione “A” e “B”, ed erano le uniche concessioni alla diversità che la città poteva offrire…
Basta? No:
… il pianificatore, per quanto entusiasta e in buona fede, fatica a decidere cosa funzioni e cosa no… per conoscere quali esperimenti hanno dato esito positivo bisogna contare su feedback affidabili… che nel caso dell’ URSS erano ferocemente repressi…
Qui si narrano le vicende dell’ Ing. Palchinsky, un pianificatore illuminato che a un certo punto “comprese” il nocciolo della questione stilando quei principi che lo condussero dritto dritto in Siberia:
… primo, testare nuove idee e provare strade alternative… secondo, sperimentare in modo da sopravvivere ai fallimenti… terzo, cercare riscontri e imparare dai propri errori… Il primo principio potremmo chiamarlo “variazione”, il secondo “sostenibilità” e il terzo “selezione”… Finì nel Gulag con un’ accusa terribile: sabotaggio della grandiosa industria sovietica con l’ intento di perseguire “obiettivi minimali”… Poiché era una testa dura alla Giordano Bruno, non ritrattò e fu condannato a morte…
***
Ma anche nelle grandi organizzazioni democratiche e commerciali dell’ Occidente liberale, il metodo del “prova e sbaglia” risulta a dir poco problematico nella sua applicazione:
… la “variazione” è sempre difficile per una tendenza intrinseca: la mania di grandezza… i grandi progetti attirano l’ attenzione e dimostrano che il leader porta a termine le cose…
Proviamo a prendere sul serio l’ idea di “variazione”:
… se la varietà è un valore… bisogna ammettere che standard qualitativi uniformemente alti (penso ora al sistema sanitario su base regionale), non solo sono difficili da ottenere, ma nemmeno sono auspicabili…
Terribile, nevvero?
Il fatto è che ci piace pensare al mondo come a un “problema risolto” anziché come a un problema che torna a riproporsi all’ infinito mettendoci alla prova in un’ apparente fatica di Sisifo.
L’ epitome del problema risolto è la Coca Cola (ramo bibite gasate), almeno per come compare nella famosa uscita di Andy Wharol:
… quando vedi in TV la pubblicità della Coca sai che anche il Presidente la beve e che anche tu puoi berla… una Coca è una Coca e nessuna somma di denaro puo’ darti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’ angolo della strada… ogni Coca è uguale a tutte le altre e ogni Coca è buona. Liz Taylor lo sa, lo sa il barbone, lo sai te e lo sa anche il Presidente…
Nel mondo cocalesco dipinto da Wharol tutto è fermo, bidimensionale, congelato, stabilizzato, pacificato. Tutto è risolto e tutti beneficiano della soluzione. Ma noi non viviamo né nella monumentale Unione Sovietica, né nella narcosi wharoliana, per questo abbiamo bisogno di dinamismo, di errori, di cadute, di differenze, di varietà e di irritanti diseguaglianze.
Ma non è solo la “varietà” a creare problemi:
… altrettanto difficile, per le organizzazioni tradizionali, è provvedere alla “selezione” di quel che ha funzionato sul campo…
Almeno metà dei progetti pilota fallisce e a un politico, per esempio, non piace molto mostrare in pubblico i propri fallimenti, verrebbe irriso quanto e più di Cimabue:
… dovremmo invece tollerare, se non celebrare, tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che molte non funzionano… ma in realtà non lo facciamo mai…
Come se non bastasse, c’ è un limite ai feedback sinceri che un boss vuole ricevere, anche per questo indoriamo la pillola fino a tramutarci in tanti yes-man:
… si arriva all’ estremo che persino quando il boss vorrebbe un riscontro onesto sulle sue scelte non riesce a riceverlo per quanto si impegni…
***
Ma lasciamo perdere le grandi organizzazioni e guardiamo per un attimo dentro noi stessi. Perché é così difficile imparare dai propri errori? I pokeristi sembrano i più titolati a rispondere:
… diversi giocatori professionisti mi hanno raccontato che il rischio di perdere il controllo non è particolarmente alto quando si vince un piatto consistente e fa capolino l’ euforia… ma quando si è appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata o per una strategia sbagliata… Perdere puo’ mandare in tilt anche il giocatore più freddo… riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’ unica cosa da fare, per quanto doloroso sia… il giocatore si mette invece a fare puntate folli per riequilibrare quella che ritiene essere solo una situazione temporanea… non è la perdita iniziale a rovinarlo ma le mosse successive…
E’ difficile “procedere per errori” quando non sappiamo affatto convivere con i nostri errori.
Il fenomeno si chiama “loss aversion”, da non confondere con la semplice “risk aversion”.  La prima è un bias cognitivo, la seconda una semplice preferenza sui rischi. Solo la prima produce comportamenti all’ apparenza assurdi come, per esempio, rinunciare a qualcosa solo perché in futuro potremmo perderla.
Fortunatamente gli esempi concreti per capire non mancano. Giusto l’ altro giorno, avendo comprato il biglietto per uno spettacolo a lungo atteso, volevo andarci anche se leggermente influenzato, non riuscivo davvero ad accettare l’ idea di sprecare i soldi. Anche se “sprecare” quei soldi era di gran lunga la strategia migliore di procedere nelle mie condizioni.
Vado avanti? Guardatevi la trasmissione dei “pacchi” su Rai Uno, spero sappiate le regole del gioco:
… statistiche alla mano, il comportamento più stupefacente è quello dei concorrenti inizialmente penalizzati dall’ estrazione di un pacco particolarmente munifico… costoro, nel prosieguo del gioco… raramente accettano le proposte del banco, anche quando sono molto ma molto convenienti… anche se in altri contesti le avrebbero accettate… e questo perché facendolo sentono di rimanere come “imprigionati” nella sfortuna che li ha colpiti in partenza… continuando a giocare invece sentono di avere una possibilità di riscatto… ma a loro sono riservate cocenti disillusioni…
Morale: il metodo “prova e sbaglia” è il migliore quando dobbiamo far fronte a problemi dove la calcolatrice s’ arrende, peccato sia tanto contrario al nostro istinto e al nostro benessere psichico.
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Solo una piccola aggiunta off topic sulla psicologia della “loss aversion”. Probabilmente sta proprio lì la chiave per capire l’ esistenza niente po’ po’ di meno che… dello Stato! Sì, perché questa è la mia teoria dello Stato preferita:
… molti filosofi della politica si chiedono perché tolleriamo dallo Stato coercizioni che non tollereremmo mai se a imporcele fosse chiunque altro… La mia ipotesi è che le persone siano mediamente molto più sconvolte da piccoli soprusi sporadici, anonimi e imprevedibili, piuttosto che da grandi soprusi costanti, identificabili e prevedibili… Gli anarchici sostengono che il Governo non si differenzia dal semplice bandito di strada, senonché il governo dopo averti rapinato senza indossare una maschera non scappa ma resta alle tue calcagna in attesa di rapinarti anche il giorno dopo… non si rendono conto che proprio questa caratteristica spiega il successo dello Stato moderno… infatti, una ragione per cui ci si sottomette alle coercizioni governative sta proprio nel fatto che esse sono relativamente costanti, che i leader di governo siano ben identificabili e le loro azioni abbastanza prevedibili…
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Se il nemico si chiama “loss aversion”, cosa si puo’ fare?
Forse niente. Oppure si puo’ “lavorare su se stessi” facendo dei proponimenti per l’ anno nuovo:
… nel 2013 combatterò risoluto l’ avversione alle perdite… mi riprometto di moltiplicare i progetti andando incontro a tanti piccoli fallimenti… il mondo è pieno di micro esperimenti che possiamo fare e a cui di solito rinunciamo a causa della “loss aversion”: andare a quella festa dove potremmo incontrare qualcuno d’ interessante… coltivare un nuovo hobby… avvicinarsi a un movimento politico… imparare a mettere insieme una torta al cioccolato… prendermi un personal trainer… oppure, se proprio sono a corto di idee, leggere il libro di Peter Sims “Little bets”… Il punto è che non mi aspetto affatto che la gran parte di questi progetti prenda una buona piega… il personal trainer probabilmente sarà uno spreco di denaro e di tempo… la festa presumibilmente sarà noiosa, non ho una gran voglia di mettermi ai fornelli e a casa mia sto sempre meglio che in piazza a gridare slogan… ma non importa perché le “perdite” a cui andrò incontro saranno comunque piccole e  ampiamente compensate quando uno solo di questi progetti si rivelerà pienamente soddisfacente e mi farà “svoltare”… quante più perdite sopporterò, tanto più probabilmente il gioco complessivo si chiuderà in attivo…
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A questo punto sarebbe bello trattare un problema concreto alla luce di queste scoperte. Si potrebbe iniziare con i cambiamenti climatici!
Direi che la “complessità” non manca, ma forse è meglio rinviare a un altro post.
Qui cerco invece di trarre un primo insegnamento da quanto detto.
L’ algoritmo evolutivo, l’ avrete notato, assomiglia molto alla canonica “soluzione liberale”.
Scopriamo quindi che quest’ ultima non dovrebbe essere confusa e messa in concorrenza con le altre soluzioni poiché essa consiste essenzialmente in un “passo indietro”, in una dichiarazione d’ ignoranza, in una rinuncia a “risolvere” e in una cessione di potere alle forze naturali che sbagliando, correggendosi e copiandosi ottusamente, faranno emergere una ricetta migliore e sempre migliorabile.
In questo senso, il liberalismo non puo’ essere considerato un’ ideologia, non consiste in soluzioni preconfezionate ma, al limite, in una meticolosa preparazione del terreno su cui si confronteranno i veri “cercatori di soluzioni”.
Il liberale deve usare la logica, ma non per edificare fragili costruzioni, bensì per far vacillare le più pretenziose e animare la concorrenza. Il liberale deve impratichirsi con la statistica, ma non per dimostrare l’ esistenza di arcane relazioni su cui fondare la Verità, bensì per revocare in dubbio quella più arrogante rigettandola nel maelstrom delle idee indimostrate. Insomma, è bene che il liberale sfoggi un certo genio, ma solo per indebolire il genio apodittico di chi vorrebbe parlare col megafono a nome di tutti.
Non manca un lato oscuro in tutto cio’: è naturale sentirsi e dichiararsi ignoranti? E’ naturale fare un “passo indietro”? E’ naturale ergere l’ errore a simbolo della conoscenza?
Direi di no, il “liberalismo” è contro-natura e difficilmente farà mai breccia nella massa.
Fiero allora di appartenere a un’ élite, il liberale dimentica subito le basi del suo credo e gonfia inopinatamente il petto: più arrogante di lui c’ è forse solo l’ “evoluzionista” militante! Non sorprende davvero apprendere da questo libro che i due siano cugini primi.