venerdì 29 aprile 2016

Come cambia la dottrina Cattolica

http://www.lastampa.it/2016/04/28/vaticaninsider/ita/vaticano/levoluzione-della-dottrina-spiegata-da-civilt-cattolica-Dv7ptylhYjlJE5xJR9DwoO/pagina.html
L’evoluzione della dottrina By Andrea Tornielli

  • Rausch riporta esempi di come l’insegnamento dottrinale si sia sviluppato e abbia subito correzioni e contestualizzazioni «guidate dalla fedeltà al kerygma essenziale e ai princìpi che esprimono l’aspetto duraturo del messaggio cristiano»
  • L’autore parte dalla domanda che si pose nel V secolo san Vincenzo di Lerino: «Un progresso della religione ci può essere nella Chiesa di Cristo?».
  • Il santo rispondeva affermativamente, proponendo l’esempio delle membra del corpo umano, che sono certamente diverse dal bambino all’adulto e poi nella persona anziana, pur rimanendo sempre le stesse.
  • un progresso nella fede e non di un cambiamento.... il cambiamento implica il passaggio di una data cosa a qualcos’altro di diverso».
  • Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità.
  • Paoa Francesco. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione.
  • è da considerare «opportuna una riformulazione dell’enunciazione del deposito della fede, ossia della verità della dottrina, chiarendone il significato e dandogli nuova veste espressiva affinché sia efficace sotto il profilo pastorale».
  • «Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.
  • L’approfondimento e la riesposizione della dottrina devono dunque tener conto del «nesso vitale tra la dottrina e l’annuncio (kerygma) al cuore del Vangelo»,
  • «Chi respinge un dogma si pone al di fuori della comunità di fede - ricorda padre Rausch - Ma i dogmi possono essere reinterpretati da successive azioni magisteriali,
  • Concilio Vaticano II ha sviluppato e chiarito la definizione del Concilio Vaticano I riguardo a quella che viene comunemente chiamata “infallibilità pontificia”». Il concilio Vaticano II ha infatti ampliato la definizione del Vaticano I, comprendendovi i vescovi in unione con il Papa
  • Il Vaticano II ha insegnato che anche i fedeli prendono parte all’infallibilità della Chiesa: «La totalità dei fedeli che hanno l’unzione ricevuta dal Santo non può sbagliarsi nel credere... i fedeli «non sono soltanto i destinatari passivi di ciò che la gerarchia insegna e che i teologi esplicitano: essi sono al contrario soggetti viventi e attivi in seno alla Chiesa». E svolgono un ruolo nello sviluppo della dottrina,
  • La regola della fede nella sua essenza non cambia, ma le espressioni della dottrina e la sua comprensione spontanea segnata dalla cultura cambiano, e per questo il Magistero e i Concili devono assicurare la giusta formulazione della fede».
  • Passando dall’enciclica «Mirari vos» di Gregorio XVI (1832) che definiva «assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza», e dal Sillabo del beato Pio IX (1864), all’affermazione della libertà religiosa tra i diritti fondamentali di ogni essere umano.
  • Un altro esempio citato riguarda l’affermazione «fuori della Chiesa non c’è salvezza», che è stata notevolmente approfondita e per la quale, ha affermato il Papa emerito Benedetto XVI si è verificata «una profonda evoluzione del dogma».
  • Un ulteriore esempio riguarda la schiavitù.
  • «la dottrina della Chiesa non va ridotta a qualcosa di meramente regolativo e informativo, espungendone il carattere vissuto e trasformativo proprio del dinamismo
  • Giovanni XXIII, il quale desiderava un magistero di carattere fondamentalmente pastorale, piuttosto che soltanto dedito a ripetere precedenti formulazioni dottrinali.
  • “pastoralità della dottrina”. La dottrina va dunque interpretata in relazione al cuore del kerygma cristiano e alla luce del contesto pastorale in cui verrà applicata,
continua

La dottrina ballerina

La Chiesa Cattolica è relativista?
Sulla pena di morte ha cambiato idea.
Sulla schiavitù ha cambiato idea.
Sull'usura ha cambiato idea.
Sulla libertà religiosa ha cambiato idea.
Su Galileo ha cambiato idea.
Sulla sottomissione della donna all'uomo ha cambiato idea.
Sulla guerra ha cambiato idea.
Sull' "extra ecclesiam..." ha cambiato idea.
Ha cambiato idea quasi su tutto. Poi ha ricambiato idea.
Ma come può un soggetto infallibile essere relativista?
Bè, anche sull'infallibilità ha cambiato idea :-)
Una dottrina piuttosto ballerina.
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Ma attenzione, non si può dire che c'è "cambiamento", bisogna dire che c'è "progresso".
Se ci fosse davvero "cambiamento"  una (consistente) scissione conservatrice erediterebbe il titolo di legittima "Chiesa di Cristo": la continuità si sposa meglio con la conservazione che con il cambiamento.
Lo stesso concetto di infallibilità rafforza il rompicapo: condizione necessaria affinchè il Papa possa dirsi infallibile è che non "cambi" l'insegnamento passato. Può aggiornarlo, reinterpretarlo, contestualizzarlo, evolverlo, ampliarlo, incasinarlo, chiosarlo, orientarlo... ma non può "cambiarlo".
Giochi di parole? Viene il dubbio di fronte a rivolgimenti oggettivi.
Devo ammettere che la filosofia relativista è più schietta: poiché tutto è interpretazione, cambiare idea equivale a cambiare interpretazione. Se la Chiesa fosse davvero relativista sarebbe in una botte di ferro.
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Ma le affinità tra relativisti e cattolici vanno oltre.
Il relativista adora il "contesto". Tuttavia, anche il Cattolico lo tira sempre in ballo: nelle parole di un Papa (non ricordo chi) "... la dottrina va rinnovata nelle sue espressioni... alla luce del contesto pastorale in cui verrà applicata...".
Il relativista va matto per concetti come quello di "esistenza",  tant'è che a lungo lo abbiamo chiamato "esistenzialista".
Ma il cattolico non è da meno. Papa Francesco: "... la dottrina della Chiesa non va ridotta a qualcosa di meramente regolativo e informativo, espungendone il carattere vissuto e trasformativo...".
Il relativista non crede alla verità, per cui, a suo parere, il linguaggio ha una funzione meramente performativa: un'affermazione è "giusta" sulla base delle conseguenze che produce.
L' "opzione pastorale" del cattolico assomiglia molto al "linguaggio performativo": quel che dici è giudicato dal bene che sviluppa presso il tuo prossimo.
Non lasciatevi ingannare: anche chi proclama di avere dei dogmi immutabili può essere un relativista di fatto, basta non dare loro alcun contenuto concreto.
Se affermo che mi preme "la dignità umana" e poi decido di volta in volta cosa intendo con con quella espressione sono di fatto un relativista.
Poi ci sono i dogmi “irrilevanti”: se un relativista nei fatti mi dice poi di credere fermamente nella “triangolarità dei quadrati” devo forse cessare di crederlo un relativista?
Ma come si può essere relativisti e allo stesso tempo infallibili?
In teoria si puo’: chi è infallibile non è onnisciente, può sempre dire di aver cambiato idea a causa di nuovi saperi venuti alla luce, oppure grazie ad un approfondimento che prima aveva trascurato. Senza contare che ogni  ripensamento può essere contrabbandato come "evoluzione interpretativa".
Oltretutto, il cattolicesimo si ritiene la religione dell'Uomo non della Regola, in questo senso puo’ permettersi di essere "relativista" sulle regole.
Eppure, il cattolico ostenta valori forti, addirittura "non negoziabili".
Bè, secondo me il relativista non gli ostenta quanto il cattolico ma, parlando francamente, se proprio dovessi "negoziare" preferirei farlo con quest'ultimo. Il "relativista" (... animalista, liberista, ambientalista, comunista, decostruttivista...) spesso mi si presenta nelle vesti dell' invasato incazzoso, sembra decisamente risoluto nelle posizioni che prende.
Eppure il cattolico crede ad un Dio con tanto di maiuscola!
Mi chiedo cosa impedirebbe al relativista di fare altrettanto. Nietzsche, il padre di tutti i relativisti, per esempio, credeva al superomismo, qualcosa di molto vicino alla divinità. Dio e Io, sotto certe condizioni, sono parenti stretti. Provate a chiedere a Scalfari che ci ha scritto un librone!
Ma, al di là della retorica, allora, cosa differenzia  il cattolico dal relativista?
I tradizionalisti dicono appunto la tradizione: l' onere della prova spetta a chi vuole cambiare, nulla del genere presso i relativisti.
Vero ma... alt, calma... "onere della prova"?! Ma allora l'ultimo tribunale è la ragione!
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Ecco allora cosa differenzia il cattolico dal relativista: la fede nella ragione.
Non c'è solo la militanza, c'è anche e soprattutto la riflessione imparziale. E soprattutto: la militanza è innanzitutto discussione e riflessione in compagnia di chi la pensa diversamente.
I cambiamenti di cui sopra sono legittimi purché frutto di una riflessione razionale che l’uomo aggiorna in base a cio’ che vede, ed ogni giorno vede cose nuove.
Discutere sulla verità con pretese oggettive è sempre sensato. Piano allora a condannare le astrazioni perché ragione e astrazione si implicano necessariamente.
Ricordiamocelo allora, detronizzata la ragione ci resta in mano solo un relativismo mascherato sotto formule ambigue .

Riccardo Mariani Perchè mai un relativista dovrebbe dire "secondo me è così ma tu fai come vuoi"? Confondi il relativismo con la tolleranza. Potrebbe dire tranquillamente "per me è così ma tu fai come dico io". Il relativismo nn è mica necessariamente pacifismo o tolleranza! Nietsche ti sembrava un tipo pacifico e tollerante? Se Hitler lo adorava ci sarà un motivo. Leggi allora i pensieri finali del post per capire chi è il relativista.

Riccardo Mariani Ripeto allora alcuni concetti esposti nell'articolo, magari dedicandoci qualche rigo in più. Faccio allora l’esempio degli anni 50/60 quando i relativisti si chiamavano “esistenzialisti”. Indovina chi ha inventato la categoria dell’”impegno”, della “lotta”, della “militanza” dura e pura? Loro; Sartre, che era il boss dell’esistenzialismo francese. Sartre chiedeva agli intellettuali di “immergersi” nella realtà senza perdere tempo in astratte speculazioni "sulla" realtà (la ragione è un inganno): ognuno porta nel suo cuore la sua causa che ritiene degna e si batte per servirla al meglio. L’unica speculazione sensata riguarda al limite la prassi: qual è la via migliore per arrivare alla meta? Non ha alcun senso invece voler giustificare la bontà della meta con una “dottrina”, perché le dottrine sono insensate, solo l’azione è sensata. Sartre era comunista pieno ma non ha mai tentato di giustificare il comunismo con una dottrina, semmai ha pianificato il modo migliore per tentare di affermarlo anche in occidente. Ma ci sono anche dei "liberisti" esistenzialisti, mi viene in mente il nome di William Irwin. Ci sono anche molti religiosi esistenzialisti. CL per esempio ha sempre flirtato con l'esistenzialismo (e quindi con il relativismo). Vedi bene il parallelo con chi è ossessionato dalla "pastorale" e solo da quella. Non basta gridare "basta aborto" per non essere relativisti. Anzi, sono proprio i relativisti che confidano nell'urlo, nel "gridare".

Altro esempio di relativismo etico contemporaneo: il neo-darwiniano duro e puro. Secondo lui siamo dei robottoni programmati per perseguire certi obiettivi. Che senso ha in queste condizioni giustificare quegli obiettivi? Se mi piace il gusto pistacchio e sono programmato per imporlo anche a te che senso voler giustificare questa mia voglia? Io sono così! Chiamalo dio, chiamalo caso, chiamala natura, chiamalo come diavolo vuoi per me è da scemi anche solo il parlarne, e quindi non perdo tempo a farlo: ingoia sto pistacchio e stop. La ragione, per il relativista, è, al limite, solo un’arma retorica (un abracadabra che in sè non esiste) per confondere l’avversario ed ottenere i propri obbiettivi in combutta con altre armi. In sè non ha nessun senso, come non ha senso il concetto di verità

Quanto ci costa il riscaldamento globale se non facciamo niente?

The IPCC reports offer cost estimates for both adaptation and mitigation.  The 2014 Adaptation report reckons, assuming that the world takes no steps to deal with climate change, that "global annual economic losses for additional temperature increases of around 2°C are between 0.2 and 2.0 percent of income."  The report adds, "Losses are more likely than not to be greater, rather than smaller, than this range."

In a 2010 Proceedings of the National Academy of Sciences article, Yale economist William Nordhaus assumed that humanity does nothing to cut greenhouse gas emissions.  Nordhaus uses an integrated assessment model that combines the scientific and socioeconomic aspects of climate change to assess policy options for climate change control.  His RICE-2010 integrated assessment model found that "of the estimated damages in the uncontrolled (baseline) case, those damages in 2095 are $12 trillion, or 2.8% of global output, for a global temperature increase of 3.4

In a 2010 Proceedings of the National Academy of Sciences article, Yale economist William Nordhaus assumed that humanity does nothing to cut greenhouse gas emissions.  Nordhaus uses an integrated assessment model that combines the scientific and socioeconomic aspects of climate change to assess policy options for climate change control.  His RICE-2010 integrated assessment model found that "of the estimated damages in the uncontrolled (baseline) case, those damages in 2095 are $12 trillion, or 2.8% of global output, for a global temperature increase of 3.4° above 1900 levels." 
In his 2013 book The Climate Casino... Nordhaus notes that a survey of studies that try to estimate the aggregated damages that climate change might inflict at 2.5° comes in at an average of about 1.5 percent of global output.  The highest climate damage estimate Nordhaus cites is a 5 percent reduction in income.  The much criticized 2006 Stern Review: The Economics of Climate Changesuggested that the business-as-usual path of economic growth and greenhouse gas emissions could even reduce future incomes by as a much as 20 percent.

[...]

The IPCC Mitigation report notes that the optimal scenario that it sketches out for keeping greenhouse gas concentrations below 450 ppm would cut future incomes by 2100 by between 3 and 11 percent... [P]rojected IPCC income losses that would result from doing nothing to adapt to climate change appear to be roughly comparable to the losses in income that would occur following efforts to slow climate change.  In other words, it appears that doing nothing about climate change now will cost future generations about the same as doing something now.

[...]
http://econlog.econlib.org/archives/2016/04/global_warming_13.html

The End of Doom and Cost-Benefit Methodology

The End of Doom and Cost-Benefit Methodology, Bryan Caplan | EconLog | Library of Economics and Liberty:



'via Blog this'



Weitzman contends that the uncertainties surrounding future man-made climate change are so great that there is some nonzero probability that total catastrophe will strike.  Weitzman focuses on equilibrium climate sensitivity... As has been discussed, the IPCC Physical Science report finds that climate sensitivity is likely to be in the range of 1.5° to 4.5° C and very unlikely to be greater than 6°C.  But very unlikely is not impossible.

Weitzman spins out scenarios in which there could be a 5 percent chance that global average temperature rises by 10
°C (17° F) by 2200 and a 1 percent chance that it rises by 20°C (34°F)... Surely people should just throw out cost-benefit analysis and pay the necessary trillions to avert this dire possibility, right?

Then again, perhaps Weitzman is premature in declaring the death of cost-benefit analysis.  William Nordhaus certainly thinks so, and he has written a persuasive critique of Weitzman's dismal conclusions...  Weitzman's Dismal Theorem implies that the world would be willing to spend $10 trillion to prevent a one-in-100-billion chance of being hit by an asteroid...

Nordhaus also notes that catastrophic climate change is not the only thing we might worry about.  Other low-probability civilization-destroying risks include "biotechnology, strangelets, runaway computer systems, nuclear proliferation, rogue weeds and bugs, nanotechnology, emerging tropical diseases, alien invaders, asteroids, enslavement by advanced robots, and so on." 



Why has no one ever applied a Dismal Theorem analysis to evaluate the nonzero probability that bad government policy will cause a civilization-wrecking catastrophe?

Botte da millenni

http://www.vox.com/2016/4/27/11510118/spanking-children



  • As far [back] as we have written records, people have been hitting children," Gershoff tells me. Today, spanking — hitting a child on the buttocks with an open hand — is still incredibly common.
  • is it possible that parents throughout millennia — many with the best of intentions — were doing the right thing?
  • In a recently published meta analysis in the Journal of Family Psychology, Gershoff and University of Michigan professor Andrew Grogan-Kaylor sift through 75 studies, for a total data pool of nearly 161,000 children, and find "no evidence that spanking is associated with improved child behavior."... spanking doesn't do any measurable good
  • What's more, the analysis finds evidence that spanking is associated with troublingoutcomes — like increased aggression, increased anti-social behavior, and mental health problems later in life. The size of these negative effects are small, 
  •  it's also possible that "bad" children are just spanked more, and are also generally more aggressive and anti-social throughout their lives.
  • One is parents think it works. And they think it works because it gets an immediate reaction out of the child.
  •  children learn "you can hit to get what you want," and "you can use aggression." So those kids, not surprisingly, when they're with their friends, are using aggression to do what they want
  • the effect of spanking with the effect of more serious physical abuse on behavior later in life. You found that the effect size of spanking was .25 (a smallish effect). And the effect size of abuse was .38 (closer to a medium effect)... as a society we say, "When it's physical abuse, that is definitely bad." But what we're showing is that there's this continuum of violence...
  • What do you say to the people who say this data just show correlation rather than causation? EG: Let's say if — in the real world — spanking was good for kids, some of these studies should have found that and found an effect in the other direction. [Only one study of the 75 found an effect linking spanking to a positive outcome.]... in order for that conclusion to be right, that spanking is good for kids, we have to have some correlations in that direction, but we don't. All the correlations are in the negative direction.
  • Let's be realistic, most people who were spanked were spanked as children. And as everyone likes to tell me, they turned out okay. And me included. I think I turned out okay despite being spanked.
  • If parents shouldn't spank, what should they do instead when their kids really misbehaveEG: What's difficult is that there is no magical disciplinary method that I can say works for all kids in all situations for all ages. If the goal is to teach children to behave, the most important thing is to teach. Explain to children 

giovedì 28 aprile 2016

Garantisti e giustizialisti

Raccontare storie in termini di “buoni e cattivi” abbassa l’intelligenza di chi ascolta, al punto che spesso non ci si riprende mai più.
Individuare un buon great divide è decisivo per condurre una discussione fruttuosa, e un buon great divide lo vedi dal fatto che tu stesso non riesci a prendere posizione.
Un “garantista” ti racconterà la “giustizia” opponendo il suo partito a quello dei “forcaioli”. Un “integerrimo” ti racconterà la sua coraggiosa battaglia contro i “corrotti”. Ma così è troppo facile, si puo’ fare meglio e raccontare una storia più appassionante.
Propongo un great divide più interessante: garantista è chi preferisce condanne più certe da abbinare a pene più dure. Il giustizialista tollera invece condanne più frequenti a fronte di pene più  miti.
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La condanna, per poter essere praticamente certa, di fatto consentirà a molti di farla franca, e per mantenere inalterata la deterrenza della pena occorrerà rendere quest’ultima più severa. Ebbene, il garantista sceglie proprio questa strada: meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in galera. Ma la galera poi deve essere vera galera.
Il giustizialista sceglie la strada contraria: se nel suo mondo per condannare basta poco (meno garanzie), allora non saranno necessarie pene dure, la deterrenza è già assicurata.
Personalmente, simpatizzo per il giustizialista. Nel suo mondo le punizioni possono essere più “rapide e coerenti”. Rapide perché non sono necessari processi molto articolati, coerenti perché facilmente collegabili col  misfatto. Da genitore so che questo è il modo migliore di punire.
Inoltre, scorgo un’ altra conseguenza per me allettante: aumentare le condanne si puo’ fare indebolendo le prove necessarie ma anche aumentando i controlli preventivi. Il miglior modo per aumentare i controlli è diminuire i reati depenalizzando certi comportamenti: i poliziotti impegnati a reprimere le bische clandestine o lo spaccio di marjuana potranno concentrarsi per esempio sugli scippi. Insomma, il costo di una diminuzione dei reati è più basso per il giustizialista.
Pochi reati significa anche meno leggi e più chiarezza. E allora i conti tornano poiché la pena diventa: “rapida, coerente e anche chiara”. Un genitore sa che questo è il massimo.
La posizione giustizialista forse agevola anche il reinserimento del delinquente: più numerose sono le condanne, meno accentuato è lo stigma sociale.
La posizione giustizialista, forse, è anche più efficiente in senso assoluto: finora ho ipotizzato individui neutrali al rischio ma probabilmente i delinquenti sono propensi al rischio, altrimenti si auto-infliggerebbero delle mini-punizioni preventive come facciamo tutti noi onesti lavoratori. E’ normale che individui propensi al rischio temano di più la soluzione giustizialista rispetto a quella garantista.

mercoledì 27 aprile 2016

La paga del manager come una scommessa di Pascal

Perché i manager hanno stipendi stratosferici?
Perché probabilmente non contribuiscono in nulla alla creazione di ricchezza.
Chi trova strana l’affermazione  provi a pensare invece a coloro di cui conosciamo esattamente quanta ricchezza producono: i lavoratori a cottimo. Riscontra forse tra costoro miliardari degni di nota?
Ma un’analogia più calzante è quella con lo Stregone della tribù.
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Parliamo del personaggio più prestigioso e ricco della comunità, a costui sono dovuti tributi in quantità, nonché deferente rispetto.
Perché? Perché lo stregone fa piovere. Forse.
In realtà non si sapeva se sapesse davvero far piovere, molto probabilmente questo potere non gli apparteneva affatto. Diciamo che una stima ottimistica si attestava tra i membri della tribù intorno al 50/51. Lui stesso, nei momenti di lucidità, non andava oltre nel valutare i suoi reali poteri.
Ma questo punto entrano in ballo due fatti cruciali:
1) l’importanza della pioggia: senza pioggia, carestia; con la pioggia, cornucopia. La differenza è enorme, ti cambia la vita.
2) la pigrizia naturale dello stregone: quando l’esito dipende tanto poco da te la strategia migliore è prendersela comoda. Danzare con foga per ore è molto stressante, meglio rivelare al popolo che i rituali ortodossi prevedono una pennica prolungata e regolare.
Il primo fatto rende rilevante per la tribù quella minuscola differenza dell’1%, per cui è razionale che la comunità punti tutto sullo Stregone.
Il secondo fatto autorizza compensi lauti per lo Stregone: solo in questo modo non barerà, anche per lui, infatti, diventa rilevante la piccola differenza dell’1%: il rischio di perdere tanta grazia fa svoltare la sua strategia razionale che passa dal fancazzismo all’impegno duro.
Anche il Papa, per dire, è ricchissimo, il Vaticano contiene mille tesori, e la sua persona rispettata ovunque. Perché? Perché forse Lassù non c’è nessuno, ma se c’è qualcuno è meglio per tutti – anche per il Papa - che faccia al meglio il suo stressante mestiere.
Ebbene, ai grandi manager si applica la stessa logica. Molto probabilmente una scimmia che lancia i dadi saprebbe fare altrettanto bene, ma non è detto, si accettano scommesse. Se la quota dello Stregone con la Scimmia è ormai scesa a 50/50 per i manager – la cui missione è di gran lunga meno trasparente rispetto a quella dello Stregone, e forse anche rispetto a quella del Papa - siamo ancora al 50/51. C’è un 1% che fa la differenza.
Ma perché fino a ieri stipendi e buone uscite non erano così da capogiro? Perché con la globalizzazione i grandi manager spostano una massa di ricchezza fino a ieri impensabile. Inoltre il business contemporaneo riguarda spesso le reti, un posto dove la competizione è di tipo “win take all” e una singola decisione puo’ estinguerti o fare la tua fortuna. Insomma, ti cambia la vita, come la pioggia per la tribù.
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C’è poi un altro motivo: la paga motiva chi la prende ma quella del grande manager anche chi non la prende. Motiva innanzitutto i suoi sottoposto.
Più la paga è alta e il boss cazzeggia, più la schiera dei vice (quelli realmente operativi) è motivata a far bene per prendere il suo posto. Insomma, con una paga se ne elargiscono 20.
In politica conosciamo bene i ruoli di rappresentanza. Perchè il Presidente della Repubblica vive nel lusso e tra gli onori quando non fa niente dalla mattina alla sera eccezion fatta per qualche discorsetto bolso e inascoltato qua e là? Ma per motivare al meglio il lavoro condotto in un cono d’ombra sospetto dai molti politici che ambiscono a quella carica tanto privilegiata.
Lettura consigliata per approfondire: Tim Harford, La logica nascosta della vita.

martedì 26 aprile 2016

Polizia e carcere

  • The US spends more than average on prison guards but less than average on police.
  • Our focus on prisons over police may be crazy but it is consistent with what I called Gary Becker’s Greatest Mistake, the idea that an optimal punishment system combines a low probability of being punished with a harsh punishment if caught. That theory runs counter to what I have called the good parenting theory of punishment in which optimal punishments are quick, clear, and consistent and because of that, need not be harsh.
  • Increasing the number of police on the street, for example, would increase capture rates and deter crime and by doing so it would also reduce the prison population. - -We based our calculation not only on our own research from Washington DC but also on the research of many other economists which together provide a remarkably consistent estimate that a 10% increase in policing would reduce crime by 3 to 5%. -
  • marijuana decriminalization and legalization have begun to move resources away from the war on drugs. Legalization in states like Colorado does not appear to have increased crime and has likely contributed to a dramatic decline of violence in Mexico. As we move resources away from drug crime, police will have more resources to raise the punishment rate for those traditional crimes like murder, robbery and rape that communities everywhere do want punished. -

http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2016/04/police-versus-prisons.html

Le origini razziste del salario minimo

Racism Everywhere http://www.arnoldkling.com/blog/racism-everywhere/

L'expo deturpato dalle code (?)

A quanto pare quello stesso Expo che dà battaglia allo spreco di cibo sembra completamente disinteressato allo spreco di tempo, al punto di fare della "coda" il suo marchio di fabbrica.
Chi ci va deve rassegnarsi a file in stile sovietico, una vera iattura in grado di rovinarti la giornata, l'ingresso scaglionato rende il visitatore scoglionato. Ma esiste un rimedio?
gatti
(gatti in attesa del ritorno dalla peschereccio)
La teoria delle code (esiste anche quella) propone come soluzione ottima la negoziabilità dei posti in fila, senonché le contrattazioni estenuanti appesantite dai bluff rendono chiaramente impraticabile questa via.
Molto più comodo istituire delle corsie preferenziali a pagamento: i padiglioni incassano, i solventi "saltano" e gli altri si sorbiscono l'attesa ma questa volta rincuorati dal loro bravo risparmio. Un espediente talmente elementare da chiedersi come mai in una società capitalistica ancora persista l'oscuro fenomeno delle "code prevedibili".
Alcune ragioni ipotizzabili:
  • le code garantiscono pubblicità,
  • le corsie a pagamento penalizzano i giovani, ovvero l'utenza più preziosa perché incline al passaparola e alle mode,
  • la soluzione a pagamento urta la sensibilità morale di molte persone, il che puo' ripercuotersi su reputazione e business.
Almeno all'ultimo inconveniente si puo' ovviare offrendo dei pacchetti in cui si vende al pubblico qualcosa che comprenda anche il salto della coda. La chiamano "segmentazione dell'utenza".
Per esempio, all'Expo si potrebbe offrire l'ingresso senza coda a chi pranza al ristorante o a chi accede agli store facendo una piccola spesa.
Capisco però che per molti il denaro e lo sterco del demonio pari sono, in questo caso si potrebbero distribuire dei buoni all'ingresso, una specie di soldi del Monopoli che ognuno investirà come crede per avanzare nelle file di attesa.
Ma se sia i soldi filigranati che quelli del Monopoli evocano fantasmi, almeno si organizzino le code in modo razionale. Il criterio che minimizza lo spreco di tempo è noto: dare la precedenza all'ultimo arrivato (o al gruppo degli ultimi arrivati, quando l'ingresso è scaglionato).
Se la cosa vi sembra strana ripensateci meglio.
Con questo criterio le code ai vari padiglioni saranno sempre cortissime: appena si allungano chi è nelle prime file desisterà ricominciando a girare tra i padiglioni. Ok, bisognerà impedire a costoro di rientrare nella stessa coda stabilendo un periodo refrattario, ma questi sono particolari.
La gente gira e ci prova finché non entra. Provarci costa  così poco!, le attese sono minime, giusto qualche minuto e subito dopo o si desiste o ci s' imbuca. Nei padiglioni più richiesti i tentativi saranno molti e il flusso d'ingresso costante, esattamente come nel caso della solita coda.
Qualcuno non entrerà ma questo accade anche col metodo tradizionale, solo che ora il tempo medio sprecato sarà inferiore.
Certo, la fortuna qui ha un certo peso e purtroppo per molti la fortuna è ancora più demoniaca del denaro. Non so bene tra i due cosa scateni di più l'invidia sociale e il risentimento.
Ormai l'Expo è al crepuscolo e le code ci intossicheranno anche nell'ultimo mese. Indossiamo allora le lenti rosa e vediamo come consolarci dal flagello:
  • la coda con lo smartphone è molto meno noiosa,
  • la coda fatta conoscendo i tempi di attesa  è molto meno stressante (quando agli Emirati Arabi hanno annunciato "un'ora e mezza" sono schizzato via più convinto e felice della mia scelta che il giorno del matrimonio),
  • la coda allena la nostra pazienza, il che viene sempre utile,
  • la coda ci fa apprezzare di più il padiglione che visiteremo,
  • la coda crea coesione sociale: alla fine parli con tutti e conosci parecchia gente, bello;
  • la coda spesso è ricca di intrattenimenti: in coda per il Kazachistan ho gustato un'arrapante danza del ventre che faceva avanzare i mariti solo se spintonati dalle mogli, in coda per la Germania un artista di strada si è esibito di fronte a noi offrendo uno spettacolo che a posteriori giudico ancora oggi migliore del padiglione.
Per approfondire:
Steven Landsburg: "How to Shorten Waiting Lines"
Tyler Cowen: "The Upside of Waiting in Line"
Xianchi Dai e Ayelet Fishbach: "When Waiting to Choose Increases Patience".

Più immigrazione (con meno diritti politici)

Una delle poche politiche che raccolgono il consenso quasi unanime degli studiosi è quella relativa alla libera immigrazione: i benefici per l’immigrato sono enormi, parliamo del programma anti-povertà di gran lunga più efficiente mai escogitato; i vantaggi per la popolazione locale sono apprezzabili: manodopera a basso costo e prezzi più accessibili; i danni, quando esistono, sono invece minimi e riguardano una fetta marginale della popolazione nativa.
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Tuttavia resta in piedi un solido argomento contro l’immigrazione che guarda al lungo periodo.
1) La correlazione tra IQ medio e prosperità nazionale è forte.
2) Gli immigrati abbassano l’IQ medio della nazione dove arrivano.
3) Sul lungo periodo il paese che accoglie molta immigrazione si impoverisce.
Commento a 1. Mentre esistono molti “cretini di successo”, lo stesso non vale per i paesi: se l’intelligenza media del paese è elevata, la prosperità è nei fatti assicurata.
Commento a 2. Gli immigrati vengono da paesi poveri, quasi sempre con abitanti dall’IQ medio inferiore a quello dei paesi di destinazione.
Commento a 3. Ci sono molti modi attraverso i quali un IQ basso rovina la qualità dell’ambiente in cui agisce: per esempio votando male. Tanto per dirne una, il soggetto dall’ IQ basso di solito avversa le politiche pro-market e di libera immigrazione, due tra i principali motori della ricchezza.
Lettura consigliata per approfondire: Hive Mind: How Your Nation's IQ Matters So Much More Than Your Own – di Garett Jones