giovedì 31 gennaio 2013

Sessantadue pensierini sulla “società armata”


  1. L’ ultimo massacro nella scuola di Newtown ha di nuovo scaldato i proibizionisti del porto d’ armi. C’ è chi parla di sciacallaggio, mi sembra esagerato.
  2. Noi tutti siamo rimasti colpiti da questa ennesima tragedia, e un frettoloso sentimento che scambiamo per buon senso sembra dirci: stop alle pistole.
  3. Tuttavia il buon senso è prezioso per far partire un ragionamento, molto meno per rimpiazzarlo del tutto. Meglio allora se viene impiegato per fissare le premesse più che le tesi. Queste ultime emergono solide solo quando buon senso ed elaborazione dei dati disponibili si coniugano armoniosamente.
  4. Ma quali sono i dati da considerare per informare una decisione sensata in merito?
  5. Prendiamoci cinque minuti, vale la pena fare il punto sullo stato dell’ arte, innanzitutto perché spesso se ne parla di getto teleguidati da sensazioni epidermiche, e poi perché puo’ essere un’ occasione preziosa per riflettere sull’ uso e sul modo in cui interagiscono etica & statistica, argomento d’ interesse generale che va ben al di là delle noiose discussioni di policy.
  6. Il possesso di armi crea danni visibili ed evita danni invisibili, questo semplice fatto manda in confusione il neofita.
  7. L’ evoluzione ci ha programmato per dare peso alle cause immediate che possiamo vedere e toccare. E’ spiacevole però constatare quante topiche prendiamo lasciando campo libero alla rudimentale epistemologia della “scimmietta” tutto istinto che ci portiamo dentro: lei, d’ altronde, sa conoscere solo in questo modo! Purtroppo, le cause dei fenomeni sono spesso assai remote e del tutto inavvistabili dal punto in cui ci troviamo.
  8. Non parliamo poi dei guai che combina questo vizietto quando si miscela con il culto dell’ esperienza personale. Un esempio sostituisce tante parole: il “grande guerriero” credeva di essere invincibile stuprando una vergine prima di scendere nel campo di battaglia. Non gli passava neanche per l’ anticamera del cervello di essere invincibile perché era un “grande guerriero”. In breve tempo ogni “grande guerriero” divenne capo della sua comunità rendendo lo stupro della vergine un preliminare obbligatorio a cui ciascun soldato avrebbe dovuto attenersi. Come potremmo mai rimproverare questi capi se siamo noi i primi che si lasciano abbagliare dalla potenza esplicativa di cause visibili ed esperienza personale? Lo stupro e la vittoria, infatti, risultano unite in un solido nesso che ciascun “grande guerriero” puo’ toccare con mano grazie alle ripetute esperienze personali! Chi non ha toccato con mano questa verità è morto e sepolto da un pezzo, si è reso “invisibile” non potendo più offrire la sua testimonianza.
  9. Poi arrivarono lo studio della storia e delle statistiche, e l’ uomo fece un passo verso la civiltà. Ecco, vediamo allora di non fare un passo indietro quando trattiamo di pistole, fucili e vivere comunitario.
  10. Il “personalismo” è ottimo per prendere decisioni personali (che riguardano solo noi) ma per prendere decisioni politiche (che riguardano tutti) meglio affidarsi allo studio di storia e statistica. I passati recenti e remoti di molte comunità umane sono lì davanti a noi – anzi, dietro – bisogna solo osservarli e interpretarli.
  11. Adesso che il discorso mi ha preso la mano, lasciatemi dire ancora due parole sul persistente bias della personalizzazione.
  12. Parlare di sé è coinvolgente, sarà per questo che spesso lo si fa tanto spesso anche al di fuori delle autobiografie. Mi chiedo infatti che posto puo’ avere la domanda “tu compreresti un’ arma?” quando si discute come regolamentare il mercato delle armi.
  13. Dietro una “curiosità” del genere gli equivoci si affollano. Quali equivoci? be’, i soliti, quelli in cui cade chi, mescolando i piani della discussione, non riesce mai a capire fino in fondo che si puo’ essere “a favore” della libera circolazione delle armi pur aborrendo armi e violenza, che si puo’ essere “a favore” del divorzio pur considerandolo un peccato mortale, che si puo’ essere “a favore” della libertà d’ espressione pur schifando il negazionismo, che si puo’ essere “a favore” della libera discriminazione pur essendo anti-razzisti convinti, che si puo’ essere “a favore” della droga libera pur considerandola una minaccia letale per la gioventù, che si puo’ essere “a favore” di poligamia e matrimonio gay pur essendo convinti che la famiglia tradizionale sia un perno della nostra civiltà. Si puo’ essere “a favore” di tante cose perché pur avendo delle certezze non ci riteniamo infallibili e si lascia volentieri che altri esplorino per noi terreni che riteniamo minati.
  14. Ora cerchiamo di passare al sodo guardando da vicino la rugosa realtà: la pace che dura è sempre “armata”, tant’ è che in campo internazionale lo diamo per scontato. Una sonora risata accoglie chi propone di “abolire gli eserciti nazionali”. Ma se il medesimo problema strategico ci viene riproposto a livello “locale”, facciamo fatica a trasporre la medesima soluzione, e anche la voglia di ridere ci passa.
  15. La deterrenza, poi, è qualcosa di impalpabile: una brutta bestia da studiare. Anche il meccanismo che trasforma di fatto lo slogan “niente armi” in un molto meno rassicurante “armi solo ai cattivi”, non è poi così chiaro all’ attenzione intermittente dell’ elettore democratico.
  16. Per queste e per altre insidie che costellano la tematica si preferisce cedere la parola all’ esperto piuttosto che al lettore (di titoli) di giornali.
  17. Iniziamo a scalare il versante etico della faccenda, è breve ma decisivo. Propongo questo principio: portare con sé un’ arma rappresenta un diritto della persona, per conculcarlo occorre provare la pericolosità di questa pratica, e l’ onere della prova spetta al conculcatore. Liberty first.
  18. Questa soluzione ha il pregio di girare al largo dai bilancini mercuriali dell’ utilitarista, sempre in cerca di quantificare anche l’ “inquantificabile” con le sue ossessive analisi costi/benefici; evita inoltre il pragmatismo pasticcione e disorientante di chi di volta in volta  “va dove lo porta il cuore” finendo presto fuori strada dopo un rapsodico zigzagare. D’ altro canto elude anche la spietata deontologia dei valori non negoziabili, quelli per cui ci si attiene scrupolosamente a certi principi, dopodiché succeda quel che succeda. Viene invece valorizzato il senso comune: si seguono i principi ordinari a meno che esistano “forti ragioni” per fare altrimenti.
  19. L’ alternativa a questo modo di procedere s’ incarna nel principio di precauzione: è consentito solo cio’ che è provato come non dannoso. Presenta almeno tre difetti che per me lo rendono inservibile.
  20. Primo, voi capite, in un mondo in cui lo “sbatter d’ ali di una farfalla” crea cataclismi, anche lo spericolato volo della colomba della pace potrebbe essere interdetto per precauzione. Insomma, è praticamente impossibile provare la non-pericolosità di alcunché.
  21. Secondo: punire gli innocenti per punire i potenziali colpevoli, è una strategia dalla dubbia portata etica.
  22. Terzo: è un principio decisionale che, chissà perché, non si applica praticamente mai nelle scelte che ciascuno di noi è chiamato a fare quotidianamente; il fatto di introdurlo ad hoc qua e là desta sospetto. Vuoi vedere che risulta simpatico soprattutto a chi non ha una grande passione per le armi?
  23. Ultima osservazione e chiudiamo con la parte etica: c’ è chi considera la libertà stessa come un valore. Magari non proprio un valore “non-negoziabile”, tuttavia, in questo caso, si porrebbe il problema di stabilire il prezzo che si è disposti a pagare per rinunciarvi.
  24. Operazione complessa visto che nessuno puo’ leggere nella testa dell’ altro, siamo così diversi!: chi detesta le armi difficilmente potrà avere una chiara idea dei benefici che ne trae chi ama collezionarle. A volte sembra che chi non ci è empatico non sia neppure un essere umano da considerare al nostro pari. Le crociate partono quando non si riesce a concepire la radicale diversità che ci separa. Una volta realizzata, invece, passare alla tolleranza è un tutt’ uno. Domanda: come mai le comunità eterogene sono anche le più libere? 
  25. Penso che il cattolico, poi, debba essere particolarmente generoso nel valutare la libertà: il suo Dio giustifica il male del mondo con il dono della libertà all’ uomo. Le carneficine di Mao e Stalin valgono la libertà di questi due tristi figuri. Auschwitz appartiene a pieno diritto al “migliore dei mondi possibili”: a fare da contrappeso basta il dono della libertà. Francamente non conosco un libertario più radicale di così.
  26. C’ è poi un coté culturale: la testa delle persone conta e parecchio. Alcuni paesi con tassi di criminalità infimi, hanno cittadini armati fino ai denti (Svizzera, Israele, Canada…). Ha poco senso fare confronti tra comunità troppo distanti nel tempo e nello spazio, ovvero tra “culture” diverse. In questo senso tra indagine storica e indagine statistica, dovremmo privilegiare la seconda.
  27. Penso poi alla nostra Europa: la “libertà” traumatizza il cittadino protetto e “infantilizzato” da divieti perduranti nel tempo; così come, altrove, regole stringenti non migliorano di molto la situazione del cittadino abituato alla responsabilità.
  28. In questo senso si capisce perché combattere per introdurre un diritto è meno urgente che combattere contro la revoca di un diritto. Un libertario al timone in Italia farebbe bene ad abbattere di qualche punto la pressione fiscale lasciando perdere il “problema delle armi”. Cio’ non toglie che per amor di discussione se ne possa parlare.
  29. I confronti andrebbero fatti tra comunità omogenee, per esempio gli Stati o, ancora meglio, le contee degli Stati Uniti. Fortunatamente la stragrande quantità degli studi si concentra proprio lì.
  30. C’ è poi il problema dell’ enforcement: quand’ anche elaborassimo una strategia ottima dal punto di vista etico e quantitativo, bisognerà considerare i costi di implementazione. E’ difficoltoso legiferare e regolamentare quei beni che hanno un florido mercato nero.
  31. Noi anti-abortisti lo sappiamo bene: una proibizione pura e semplice senza stato di polizia scatena il mercato nero delle “mammane”, ne vale la pena? Noi contribuenti lo sappiamo altrettanto bene: una tassazione al 50% senza stato di polizia scatena il mercato nero dell’ evasione, ne vale la pena?
  32. Ecco, lo stesso dicasi per le armi: purtroppo le armi sono un bene apprezzato soprattutto dal mondo criminale, ovvero da un soggetto specializzato in “mercato nero” (altro che idraulici, pasticceri e mammane!); e si capisce, chi ordina omicidi tutti i giorni non viene certo colto da tremarella se costretto dalle contingenze a non battere lo scontrino.
  33. L’ ultima parte è quella meramente quantitativa: il proibizionista ha assolto il suo compito? Ha provato inequivocabilmente la presenza di un danno sociale?
  34. La sintesi della risposta è “no”. L’ analisi è un po’ più lunga, purtroppo.
  35. Partiamo dai “pazzi” stragisti. Fanno sempre notizia, specie se non sono “pazzi” del tutto e in loro riscontriamo somiglianze con la persona che conosciamo meglio: noi stessi. Quel tale che ha compiuto la strage non è poi un “marziano”, i suoi problemi sono simili ai miei, così come le sue debolezze. E chissà quanti ne girano nella medesima condizione! Come se non bastasse agisce in luoghi che frequentiamo tutti i giorni: la scuola, il supermercato, l’ autobus…
  36. Il “pazzo” lo sentiamo più contiguo del criminale. Forse un giorno saremo chiamati davanti a una telecamera per testimoniare al mondo quanto il nostro vicino era “una brava persona”. Magari un po’ chiusa ma una bravissima persona.
  37. Queste impressioni sono potenti ma insidiose, saltare a conclusioni sull’ onda emotiva sarebbe ingannevole: i “pazzi”, spiace dirlo, pesano poco nel computo costi/benefici che siamo chiamati a fare. Una ventina di morti per armi da fuoco su quindicimila difficilmente faranno la differenza.
  38. Persino l’ azione tipica dei “pazzi”, il mass shooting, nel tempo è diminuito visto che l’ aumento di “pazzi” armati – che pure bisogna ammettere – è stato più che bilanciato da una diminuzione di mass shooting dovuti a moventi più tradizionali.
  39. Ma veniamo ora ai dati nudi e crudi, il modo più semplice di studiarli consiste nel produrre regressioni statistiche, ovvero nel vedere se le variabili che ci interessano sono tra loro collegate (nel nostro caso armi & criminalità).
  40. La regressione statistica ha molti inconvenienti, non solo il fatto di limitarsi a stabilire “correlazioni” – ricordare all’ economista che correlazione e causalità non sono la stessa cosa è come ricordare al chimico di lavare le provette – ma anche il fatto di richiedere “specificazioni”. Come specificare allora la diffusione delle armi? Non esistono quasi mai registri da cui attingere informazioni di prima mano.
  41. Alla ricerca di proxy credibili, c’ è chi ha usato i sondaggi, c’ è chi ha usato gli abbonamenti a riviste di settore e c’ è chi ha guardato ai suicidi con armi da fuoco.
  42. Gli esiti alla fine sono differenti: si va da una forte correlazione inversa tra armi e criminalità (more guns less crime) a una leggera correlazione diretta.
  43. E non scordiamo la variabile dipendente: il tasso di criminalità. E’ una variabile estremamente volatile, molti sono i fattori che la determinano. Bisogna far le “grandi pulizie” per isolare l’ effetto che ci interessa, quello delle armi da fuoco.
  44. Dopo aver avanzato forti dubbi sul metodo delle regressioni, faccio comunque notare che se adottassimo gli standard comunemente usati per questioni politicamente corrette anche in tema di armi, allora la questione sarebbe già sentenziata da tempo: il proibizionista non è in grado di provare le sue tesi. Chi non ritiene provata la pericolosità che comporta l' avere genitori dello stesso sesso, come potrà mai pensare che le armi siano in qualche modo pericolose? Sono stato chiaro? Posso evitare di fare esempi parlando di ambiente o razza?
  45. Ma i pignoli, e giustamente, si rivolgono a metodi d’ indagine più sofisticati. Si è guardato allora con interesse, per esempio, a quello impiegato nella sperimentazione di nuovi medicinali: su cento gruppi di pazienti se ne prendono a caso venti a cui propinare il “trattamento”, dopodiché si misurano gli effetti facendo un confronto tra “trattati” e “non trattati”. Il caso ha un potere prodigioso: elide le differenze tra gruppi neutralizzando la presenza di variabili fastidiose che potrebbero interferire sugli esiti.
  46. Per noi “il trattamento” potrebbe essere una legge contro il porto d’ armi: promulgarla in una contea sarebbe come inoculare un vaccino. Dopodiché, basterà stare a vedere quel che succede confrontando la reazione della comunità “trattata” con un gruppo di controllo.
  47. Primo problema: le comunità che adottano una legge “contro il porto d’ armi” non sono propriamente scelte a caso, quindi le differenze non si elidono mai del tutto.
  48. Ci mette una pezza la tecnica “difference in difference”: l’ effetto viene isolato analizzando solo gli scostamenti sulle differenze pre-esistenti.
  49. Secondo problema: l’ effetto placebo.
  50. Gli sperimentatori di medicinali lo conoscono benissimo: se il “trattato” sa di essere tale, spesso guarisce anche bevendo un bicchier d’ acqua. E’ necessario non informarlo (blind test).
  51. L’ effetto placebo si manifesta nei modi più impensati. Sembra esserci persino quando si sperimentano nuove sementi nei villaggi africani: i villaggi scelti per la sperimentazione diventano improvvisamente più produttivi… ma solo se sanno di essere tra i prescelti! (il link a questo studio devo metterlo perché mi ha troppo divertito).
  52. [… veramente la legge-placebo la conosciamo anche noi religiosi: per negare effetto miracolistico alle preghiere gli sperimentatori hanno dovuto imporre al test la doppia cecità: i gruppi di preghiera dovevano pregare per “non si sa chi” e il malato non doveva assolutamente sapere se qualcuno pregava per lui…]
  53. L’ effetto placebo va comunque inteso in senso lato come “effetto annuncio”, qualcosa destinato a sfumare nel tempo. Qualcosa che va di pari passo con l’ introduzione della misura.
  54. Ci sono comunque tecniche che, anche nel caso delle armi, ripuliscono gli studi dalla “placebo law”. La cosa qui si fa complessa: fidatevi o vi ammollo un link impegnativo.
  55. Ma veniamo agli esiti degli studi “difference in difference” ripuliti dalla “placebo law”: il proibizionismo (“all’ europea”) serve a poco o nulla.
  56. Quali soluzioni raccomandano allora gli esperti?
  57. C’ è chi spinge per sussidiare le armi: una loro maggior diffusione presso la cittadinanza sarebbe un deterrente al crimine. Problema: leggi anti-proibizioniste in una regione non fanno che spostare il crimine in quelle limitrofe.
  58. C’ è anche chi si spinge a proporre di contrassegnare le case in cui si detiene un’ arma per “internalizzare” i benefici del possesso.
  59. Altri chiedono di alzare l’ età consentita per il porto d’ armi istituendo al contempo vere e proprie taglie a favore di chi denuncia gli illeciti: se il proibizionismo generico è inutile, puo’ avere un senso quando insiste su gruppi sociali (i giovanissimi) dove i “coglioni” si concentrano. Quasi sempre i guai cominciano quando il ragazzino va a spasso per il quartiere in cerca di autostima facendo mostra del suo cannone.
  60. Per lo stesso motivo c’ è chi vede bene un pesante coinvolgimento dei genitori: dovrebbero pagare anche loro per le marachelle letali del figlio minorenne.
  61. Anche l’ introduzione di una tassa o di un’ assicurazione obbligatoria sul tipo rc auto è caldeggiata da qualcuno. Alternativa: tassare i “non-armati” e offrire un premio agli “armati” che riconsegnano l’ arma.
  62. Infine c’ è chi chiede ancora più studi in materia. Chissà, torturando a sufficienza i dati puo’ darsi che “confessino” quel che vogliamo sentirci dire.
  63. Oggi sappiamo che esiste comunque una correlazione robusta tra suicidi e detenzione di armi.
  64. Difficile che un liberal sia autenticamente interessato ai suicidi visto che, tanto per dirne una "OxyContin abuse kills three times more people than gun homicides yearly". E il liberal è sempre impegnato a battersi contro la war on drug
  65. Sei preoccupato per la vita del tuo prossimo? Non occuparti della diffusione delle armi, non è certo una priprità.
  66. Negli USA la libertà di portare armi ha un' origine storica: i cittadini difendono la democrazia presentandosi armati ai governanti.
  67. Anche nella storia delle lotte per i diritti civili dei neri le pistole hanno giocato un ruolo importante, specie negli anni 60. Sembra una contraddizione (pistole + lotta non violenta) ma è così.
  68. Chi possiede armi è più felice. arthur brooks http://mobile2.wsj.com/device/html_article.php?id=77&CALL_URL=http://online.wsj.com%2Farticle%2FSB120856454897828049.html%3Fmod%3Dopinion_main_commentaries
  69. sul tasso degli omicidi gli usa sfigurano con l'europa occidentale ma fanno bene rispetto agli altri paesi americani. premesso che reddito e tasso degli omicidi non sembrano correlati (nell'africa povera ci sono molto più omicidi che nell'asia povera), a questo punto sarebbe interessante sapere il tasso degli omicidi usa disaggregato razzialmente. così, tanto per capire quali termini di paragone sono più uniformi.-

    https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_intentional_homicide_rate
  70. Militarismo. Nelle zone dove le armi sono più diffuse vige una cultura militarista. In questo senso le persone armate non vogliono "sostituirsi" ai tutori dell'ordine quanto aiutarli e integrarli.
  71. Freedomnomics: Why the Free Market Works and Other Half-baked Theories Don't di  John R. Lott - crimini e pistole
    • usa: nel 2004 spira un importante bando alle armi ma gli omicidi continuano a diminuire tra le grida d allarme degli attivisti....
    • altro provvedimento importante: il brady act. nessuna conseguenza sul tasso degli omicidi...
    • il problema con il proibizionismo? che ubbidiscono solo i cittadini modello nn i criminali. un pò come con le droghe o l alcol
    continua
  72. Freakonomics  Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner - CRIMINI E PISTOLE
    • teoria anti gun: senza pistole chi è più debole si rassegna senza spargimenti di sangue...
    • pro gun: se tutti sono armati: meno ingiustizie e nn più sangue. perchè mai i forti dovrebbero vantare le loro pretese?...
    • gli usa hanno un tasso di omicidi elevatissimo. le pistole contano? e la svizzera? sono più armati e più sicuri. xchè?...
    • brady act: un fallimento. ragioni: il mercato nero prospero compensa i divieti....
    • chicago e wachington città gun free ma anche i fanalini di coda nella diminuzione dei crimini...
    • gun buyback: dove ha avuto successo il crimine nn è diminuito...
    • c è l iopotesi opposta: more gun less crime. nn sembrano replicabili gli studi di lott
    • conclusione: l ipotesi del bando non sembra spiegare il crollo della criminalità negli usa durante gli anni 90
    continua
  73. More guns less crime - John Lott
    • Tesi dello studio empirico: dopo il passaggio di leggi liberali sulle armi il crimine crolla.
    • Critica: le conclusioni dipendono  da quale intervallo di tempo consideri dopo la promulgazione. Se accorciamo i risultati svaniscono
    • Risposta: l effetto deterrenza nn può essere immediato, i criminali non calcolano a tavolino ma si avvalgono dell'esperienza
    • Critica: di solito qs leggi vengono passate in un pacchetto di misure
    • Vero ma il controllo dettagliato città/città contea/contea stato/stato neutralizza l'effetto mix. E cmq in molti casi la scrematura è stata fatta mantenendo le conclusioniinalterate
    • Critica: altre proxy - es la vendita di giornali - danno esiti diversi.
    • Risposta: la deterrenza spiega i suoi effetti soprattutto se non solo attraverso la legge, che è un atto pubblico.
    • Obiezione: esiste uno spillover: liberalizzi qui e i guai accadono là.
    • Risposta: non puo' essere una regola generale, se il campione è adeguato l'effetto è neutralizzato. L'evidenza degli spillover è anedottica.
    • imho: la materia è complessa e isolare le variabili impossibile ma una cosa è certa: se le conclusioni fossero state "socialmente desiderabili" il dettaglio delle critiche non sarebbe di certo stato quello noto.
    • https://www.facebook.com/ymaltsev/posts/10207310750864817 ****** https://www.washingtonpost.com/news/volokh-conspiracy/wp/2015/10/06/zero-correlation-between-state-homicide-rate-and-state-gun-laws/
    continua
  74. Se Hitler non avesse controllato la circolazione delle armi l'olocausto sarebbe stato possibile? http://econlog.econlib.org/archives/2015/10/does_gun_contro.html
  75.  This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement Possible di Charles E. Cobb Jr. - il ruolo delle armi nella lotta per i diritti civili dei neri d'america.
    • in molti decisero di impugnare le pistole x difendere il movimento nn violento
    • attacchi ai nonviolenti del gruppo di mlk: malcom e du bois
    • x molti neri la nn violenza era una strategia nn un credo: x compensare o se nn funzionava erano sempre pronte le pistole
    • la cultura delle armi nel sud consentì ai neri di armarsi
    • il vero militante nn violento: in fondo un elite ristretta della leadership. dietro di lui una massa armata
    • dividere violenza e nn violenza nn è utile
    • nella storia usa la violenza è stata spesso celebrata. ma nn quella nera, che pure c'è stata ed è stata fruttuosa
    • tema del libro: chi partecipava alla lotta nnviolenta senza credervi... 
    • dilemmi morali del nonviolento: fino a che punto puoi coinvolgere terzi sodali nel rischio che prendi. c'è un limite oltre il quale devi armarti o consentire agli altri di farlo
    • fanon: le virtù liberanti dell imbracciarr un arma
    • alleanze esplicite tra violenti r nn violenti
    continua
  76. Confronti internazionali in tema di omicidi e possesso di armi
    • America’s unusually high gun homicide rate.


    • The United States’ homicide rate of 3.8 is clearly higher than that of eg France (1.0), Germany (0.8), Australia (1.1), or Canada (1.4). However, as per the FBI, only 11,208 of our 16,121 murders were committed with firearms, eg 69%. By my calculations, that means our nonfirearm murder rate is 1.2. In other words, our non-firearm homicide rate alone is higher than France, Germany, and Australia’s total homicide rate.
    • There are many US states that combine very high firearm ownership with very low murder rates. The highest gun-ownership state in the nation is Wyoming, where 59.7% of households have a gun (really!). But Wyoming has a murder rate of only 1.4 
    • There are many US states that combine very low firearm ownership with very high murder rates. The highest murder rate in the country is that of Washington, DC, which has a murder rate of 21.8, more



    continua
  77. Esiste un collegamento tra possesso delle armi e tasso di omicidi, e, diversamente da quello tra armi e morti per armi da fuoco, è negativo, almeno se misurato tra gli stati degli USA. Il fatto è che ci sono parecchi stati ad ad alta criminalità con leggi proibizioniste. Si tratta di stati con una forte presenza, specie urbana di neri. Ecco allora che un modo per cambiare di segno al collegamento esisterebbe: far rientrare nella funzione esplicativa anche la razza. Ma forse è un espediente troppo imbarazzante, per quanto uno sia un invasato proibizionista non se la sente di arrivare a tanto, anche per evitare la soluzione più razionale in casi del genere: proibire solo ai neri.
  78. Di solito gli argomenti pro gun sono tre: 1 secondo emendamento 2 deterrenza crimine 3 protezione da un governo invadente. Vediamone un quarto. There is another, and perhaps better, argument for private possession of firearms. If the population is disarmed, protection against crimes is provided mainly by the police. People very much want not to be victims of crimes, so if protection depends on the police there will be public support for expanding the powers of the police in order to better protect us. The result is a more powerful and invasive government, which I think a bad thing. Given the current government, I would expect that argument to appeal to many people who find the first three unconvincing.
  79. brian doherty sulle armi
    • Più pistole in america ma meno omicidi con pistole. Mi sembra che questo semplice dato renda sempre meno urgente varare leggi proibizioniste, anche qualora una parte degli omicidi siano collegate con la possibilità di ottenere facilmente una pistola!
    • nota la psicologia dell'anti-gun: accoglie senza colpo ferire gli studi che dimostrano un collegamento tra pistole ed omicidi a livello statale. Poi, quando si dimostra come studi del genere siano viziati perché comprendono anche gli omicidi cio' che resta dello studio, e che dimostra una relazione negativa tra le due variabili, viene integrato in modo estremamente sofisticato (e forse anche arbitrario) pur di rovesciare la relazione sgradita. Morale: le pulci si fanno solo agli studi sgraditi.
    • che fare davanti ai ladri o rapinatori? fuggire è solo leggermente più sicuro che difendersi con una pistola. Difendersi con una pistola è comunque più sicuro che difendersi senza pistola. Quanto ai danni patrimoniali la cosa migliore da fare è difendersi con una pistola.  study, by Harvard's Hemenway and Sara J. Solnick of the University of Vermont,
    • A 2013 Pew Research Poll found 56 percent of respondents thought that gun crime had gone up over the past 20 years, and only 12 percent were aware it had declined.
    • Suicidi/omicidi. Due affari ben diversi
    • Occhio ai trucchetti atatistici. Among other anomalies in Fleegler's research, Hinderaker pointed out that it didn't include Washington, D.C., with its strict gun laws and frequent homicides.
    • Udare un arma nn è dannoso x la tua incolumità ed è vantaggioso x la tua prop.  "attacking or threatening the perpetrator with a gun had no significant effect on the likelihood of the victim being injured after taking self-protective action," since slightly more people who tried non-firearm means of defending themselves were injured. for those who place value on self-defense and resistance over running, the use of a weapon doesn't seem too bad comparatively; Hemenway found that 55.9 percent of victims who took any kind of protective action lost property, but only 38.5 percent of people who used a gun in self-defense did...
    • Cost-Benefit Analysis Leaving Out a Key Set of Benefits. avere un arma ci rende felici e realizzati. la cosa nn deve stupire poiché rafforza il nostro senso di autonomia, che è una variabile fondamentale a detta di qualsiasi psicologo. eppure questo fattore fondamentale nn viene contabilizzato.
    • Perché stimare l'impatto delle armi è difficile? Il lavoro di Lott è sintomatico. The range of contentious issues involved in Lott's techniques were summed up pretty thoroughly in a sympathetic but critical review of the third** edition inRegulation. The economist Stan Liebowitz of the University of Texas at Dallas wrote: "Should county level data or state level data be used? Should all counties (or states) be given equal weight? What control variables should be included in the regression? What violent crime categories should be used? How should counties that have zero crimes in a category, such as murder, be treated? How much time after passage of a law is enough to determine the effect of RTC laws? What is the appropriate time period for the analysis?". He attempted to control for many handfuls of other variables that might affect crime rates--indeed, some researchers accused him of accounting for too many variables, while others slammed him for failing to account for other factors... Trying to prove Lott wrong quickly became a cottage industry...
    • In all of the discussions of how to address "gun violence" something that is almost invisible is how race is a major factor in the composition of gun death statistics. Blacks die at the hands of other blacks and commit a disproportionate percentage
    • The best way to reduce gun violence is to legalize drugs and restrict access.
    • alcuni studiosi (miller hemenway) arrivano a dimostrare una correlazione positiva tra omicidi e detenzione di pistole. come fanno? inseriscono tra i confounders il tasso di criminalità. ovvero dicono: gli omicidi elevati in assenza di pistole si spiegano con la presenza di altri crimini (es rapine); a parità di rapine o crimini senza armi coinvolte il danno del possedere armi emerge. Il ragionamento: in un posto tranquillo, senza criminalità, è più facile che le armi non facciano danno. qs è vero pensando alla campagna ma forse non è sempre vero  poiché le basse rapine forse  sono un beneficio  dovuto anche dalla presenza delle armi http://johnrlott.tripod.com/2007/01/problems-with-latest-miller-hemenway.html
    • http://econlog.econlib.org/archives/2016/01/brian_doherty_o.html
    • In yesterday’s post, I suggested that the difference in homicide rates between America and other First World countries were about two-thirds cultural, one-third gun-related. That’s sort of true, but people have reminded me to think of it as an interaction. Without the cultural factors in place, guns are pretty harmless. 
    • una possibile parola finale sulla relazione armi-stati-omicidi dal meta studio di gary cleck: su tot studi analizzati metà propendono per una relazione positiva metà per una relazione negativa. quanto più lo studio è accurato tanto più si evidenzia una relazione negativa. http://slatestarcodex.com/2016/01/10/guns-and-states-2-son-of-a-gun/
    continua
  80. Faccio seguire un elenco degli autori che mi hanno ispirato diversi “pensierini”, puo’ essere utile a chi intende approfondire:
  81. il secondo emendamento, nel quadro dell'equilibrio dei poterei, forniva una soluzione ottimale ai pericoli di un esercito professionista: una milizia privata poteva aiutarlo in caso di invasione o osteggiarlo in caso di colpo di stato. Ma oggi la disparità di forse e di armamenti sarebbe eccessiva, oggi la funzione del secondo emendamento è meglio svolta da una garanzia della privacy. vedi david friedman nel capitolo sui codici encrypton
Frederic Bastiat, sulla dialettica visibile\invisibile.
Daniel Kahneman, su personalizzazione e availability bias.
Adam Winkler, sulle guerre culturali in tema di armi.
Isabel Briggs Myers, sulle differenze psicologiche tra individui.
Michael Huemer, sulla relazione tra statistica, etica, utilitarismo, pragmatismo e senso comune.
David Friedman e Kenneth Arrow, sul principio di precauzione.
Peter van Inwagen, sul Dio cristiano, il male e la libertà dell’ uomo.
David Murray, su stato sociale e “regressione infantile” del cittadino deresponsabilizzato.
David Kopel, sull’ idea di “pace armata” e su come il “no alle armi” puo’ trasformarsi in “armi solo ai cattivi”.
William Briggs, sullo scarso peso del mass-shooting nel computo complessivo degli effetti.
Jesse Walker, sui tendenziali del mass-shooting.
Alicia Miller, su correlazione e causalità.
Ed Leamer, sul problema delle specificazioni statistiche.
John Lott, sulle regressioni con utilizzo di sondaggi.
Philip Cook\Jens Ludwig, sulle regressioni con i suicidi come proxy.
Mark Duggan, sulle regressioni con gli abbonamenti a riviste specializzate come proxy.
Esther Duflo, sui metodi “differences in differences”.
Steve Leavitt, per una rassegna sugli studi “differences in differences”
Richard Swinburne, sull’ effetto miracolistico delle preghiere.
Alex Tabarrok, su come correggere le conclusioni “difference in difference” tenendo conto della “placebo law”.
Jesus Castro Jr., sul ruolo dei genitori nell’ abuso di armi.
Megan Mcardle, sui limiti dell’ assicurazione obbligatoria.
David Henderson, sulla segnalazione dei possessori di armi.
Robert Wiblin, sull' importanza del problema delle armi http://www.overcomingbias.com/2013/02/is-us-gun-control-an-important-issue.html
Charles E. Cobb Jr.   This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement  sul ruolo delle pistole nella lotta per i diritti civili dei neri.







martedì 22 gennaio 2013

Film visto ieri: Cenerentola

Le “eroine” di Disney non sono mai particolarmente “eroiche”, si limitano a mantenersi di buon umore nonostante le condizioni avverse.

Lo avevo già notato con Biancaneve.

Il bene non consiste nel fare la cosa giusta ma nell’ avere un buon carattere.

Qualcuno si lamenta che sono “passive”, io ci vedo piuttosto il trionfo della virtù sulla deontologia: forgiare il temperamento (che farà la scelta giusta al momento giusto) è più importante che conoscere a menadito i principi a cui uniformarsi (per fare la scelta giusta).

Cio’ consente di collocare il vero bene nel futuro (“e vissero felici e contenti”) prima ancora che nel presente delle vicende narrate. In altri termini: io ci metto la mano sul fuoco che Cenerentola e Biancaneve vivranno “felici e contente”, il buon carattere e la nobile estrazione garantisce loro la felicità.

[… l’ incognita, semmai, sono i Principi. Di loro sappiamo così poco… ma forse basta la garanzia del sangue blu…]

P.S. che noia tutte quelle gag coi topi, specie quando avulse dal contesto narrativo.

P.S. il “buono angelico” (Cenerentola) stravince sul “buono grottesco” (topi); il “cattivo sublime” (matrigna) stravince sul “cattivo grottesco” (sorellastre e gatto lucifero). Insomma, il grottesco non si sposa con Disney.

cenerentola

lunedì 14 gennaio 2013

In lode del fazioso

La professoressa Nancy Rosenblum ha recentemente dato alle stampe un libro in cui si rivaluta la partigianeria politica: o di qua o di là.
E’ decisamente un’ operazione azzardata visto che mai come oggi l’ osservatore indipendente dei fatti politici è ricercato e apprezzato:
… Il disgusto per il partigiano si diffonde rapidamente e ovunque… da più parti la sua è ritenuta una forma “degradata” di cittadinanza… non mancano giudizi aspri che lo vogliono ora ignorante, ora inerte, ora succube dei leader e via dicendo… una persona dedita a sfigurare cio’ che altrimenti sarebbe una comunità politica perfettamente unita… e anche chi non giunge a questi eccessi, ovvero chi accetta di buon grado una consistente dose di pluralismo, considera comunque la partigianeria come un fattore divisivo creatore di conflitti… chi lo demonizza esalta poi la figura dell’ Indipendente mettendone in luce la superiorità etica…
Non è un caso che tutti gli esperti di settore anelino all’ indipendenza e a un certo ecumenismo:
… la continua interrogazione socratica e l’ imparzialità huemaniana sono quanto di più raccomandabile per l’ analista… anche i semplici votanti vengono spinti a fronteggiare i problemi politici con mentalità non-partisan… laddove i giudizi del “fazioso” vengono considerati squilibrati e minati da continue distorsioni percettive, quelli dell’ “imparziale” vengono raffigurati come limpidi, empirici e ragionati…
Peccato che tesi del genere non reggano un serio scrutinio:
… ben lungi dall’ essere più attenti, interessati e informati, gli “indipendenti”, come gruppo, tendono ad avere una conoscenza più approssimativa dei problemi politici, un’ immagine infantile delle personalità politiche, il linguaggio della politica spesso è per loro un gergo incomprensibile, il loro interesse al dibattito è inferiore così come inconsistenti sono le loro preoccupazioni sull’ esito di molte vertenze… L’ “indipendente puro” è la figura meno interessata alla politica… il più ignorante in merito… nonché, tra i votanti, il più superficiale… Tutto cio’ è perfettamente plausibile, se ci pensate: il militante spende molto più tempo nell’ approfondimento e ha anche più agganci quando si tratta di reperire informazioni… Il pragmatismo dell’ Indipendente -  nascosto dietro la maschera di un generico “interesse civico” -  è spesso caotico e sfocia in soluzioni ad hoc quasi sempre dannose per la costruzione di un sistema coerente… come se non bastasse, molte volte la sua posizione “equilibrata” sfrutta opportunisticamente i precedenti e fertili conflitti originati dalle varie fazioni…
A cio’ si aggiunge l’ incapacità di incidere, così tipica del Terzista:
… Ignazio Silone aveva ragione nel dire che l’ essenza del giudizio democratico sta nella “scelta dei compagni”… L’ Indipendente non coglie questa essenza quando, geloso della propria originalità, recalcitra allorché è chiamato a “coordinarsi” con il prossimo… si consegna così a un atomismo che, da un lato lo esonera dalle responsabilità del compromesso, ma dall’ altro lo rende, sì puro, ma anche irrilevante…
D’ altro canto, il settario:
… con il suo rifiuto della visione altrui pone linee chiare di demarcazione, accettando il conflitto delle idee s’ impegna a regolarlo sempre meglio, mette a fuoco i punti di dissenso ma anche quelli di possibile convergenza… in mancanza di partigiani i benefici della dialettica faticherebbero a emergere soffocati da un magma di visioni indistinte e mai in chiara opposizione l’ una con l’ altra…
Ma che dire a chi ci fa notare quanto il Partigiano tenda ad adottare acriticamente il Vangelo della sua tribù rifiutando spesso l’ evidenza palmare che confuta certe credenze? Secondo chi sostiene l’ accusa, il Partigiano rischia sempre di essere passivo ed eterodiretto.
… molti di questi difetti si riscontrano anche nell’ Indipendente, si riscontrano in chiunque professi una propria ideologia, e vale la pena qui di ricordare che “essere indipendenti” non significa essere svincolati dall’ ideologia ma piuttosto costruirsene una su misura… del resto il supporto ideologico sembra essenziale alla comprensione del reale, per dirla con le parole di Shumpeter: “l’ ideologia ci nasconde gran parte della realtà ma senza ideologia saremmo del tutto ciechi”… quanto alla presunta “passività” dell’ affiliato, recenti ricerche hanno dimostrato come le organizzazioni politiche siano sensibili alle preferenze latenti dei membri e anche più elastiche di quanto si pensi nel cambiare la posizione ufficiale in conformità con l’ opinione ufficiosa nel frattempo diffusasi tra i militanti…
Altro dubbio: ma la partigianeria non rischia di fomentare l’ estremismo?
… No. L’ estremismo deleterio non ha nulla a che vedere con le specifiche posizioni politiche di un partito ma piuttosto con la condotta di una frangia di militanti… l’ estremismo è un epifenomeno che emerge allorché si fa strada la frustrazione di non poter mobilitare dei voti, e questo diventa tanto più probabile quanto più si indeboliscono i partiti… gli estremisti spesso hanno una piattaforma accettabile [molti condividono gran parte dei volantini delle BR]… l’ estremismo è una prassi, non un’ idea…
Secondo molti se la faziosità politica dovesse diffondersi il Paese resterebbe bloccato, sono gli “indipendenti” a renderlo dinamico e sempre pronto a invertire la rotta. Sbagliato:
… Hillygus e Shields, nel loro libro “Chi persuadere?” hanno dimostrato che a cambiare voto sono per lo più ex partigiani delusi prima ancora che gli indipendenti. Come se non bastasse, è qui il caso di affermare che su molte “issue” il partigiano la pensa in difformità con il suo partito [si parla degli USA]…
La faziosità fomenta l’ interesse, ok, ma c’ è da chiedersi se davvero un’ “interesse” tanto morboso sia preferibile la quieta apatia di molti indipendenti:
… su questo punto pesano le contingenze. Al momento attuale vedo l’ apatia come la maggior fonte distorsiva del sistema. Colpisce soprattutto i poveri, sono loro a non votare e, come ha dimostrato uno studioso del calibro di Larry Bartels, la struttura delle preferenze dei poveri è molto differente rispetto a quella degli altri gruppi sociali, cio’ significa che una gran parte della società non è rappresentata nel voto democratico…
Conclusione:
… non abbiamo bisogno di più indipendenza ma di una sempre più leale partigianeria con un agone efficiente dove far competere idee contrapposte…
D’ altronde, era chiaro fin dall’ inizio che per la Rosenblum il tratto partigiano è consustanziale alla democrazia:
… il luogo comune per cui un sistema democratico intelligente e funzionante richieda ai suoi membri indipendenza di giudizio e spirito non fazioso è palesemente falso… nel mio libro ho intenzione di proporre la “militanza” come primario valore democratico ed etico…
partig
Convinti? Io non del tutto. Penso che almeno un paio di critiche restino inevase, e per me sono quelle decisive.
Prima.
Chiediamoci: cosa serve affinché emerga la preziosa “wisdom of the crowd”, che è poi il sale di ogni democrazia?
Indipendenza di giudizio.
Cosa mina innanzitutto l’ appartenenza zelante a una Chiesa?
L’ indipendenza di giudizio.
Conclusione: nell’ aggregare i giudizi abbiamo bisogno di tutti i generi di errore affinché si elidano meglio tra loro. La partigianeria ci spinge pericolosamente a fare lo stesso errore degli altri, e questo puo’ essere un guaio.
Spesso, diciamolo, un’ ignoranza capronesca, specie se umile, è molto meglio di un cervello all’ ammasso.
Secondo.
Il “partigiano” coltiverà anche una grande passione civile dedicando molto tempo all’ informazione e all’ approfondimento delle varie “issue”, non sembra però che questo gli giovi granché quando forma le sue credenze. I bias cognitivi lo perseguitano più di quanto non facciano con l’ indipendente.
Sul punto, a me piace portare questo esempio sull’ effetto serra, lo traggo da Andrew Gelman:
… su un campione di soggetti intervistati, il 19% dei Repubblicani con un’ istruzione superiore credeva che le attività umane fossero la causa del riscaldamento globale, mentre si saliva al 75% tra i democratici, sempre limitandosi a quelli in possesso di laurea o titolo superiore… se invece non consideriamo in alcun modo il grado di istruzione la percentuale dei Repubblicani sale al 31% e quella dei democratici scende al 52%! A prima vista un risultato del genere è parecchio strano: verrebbe naturale pensare che quanto più elevata è l’ istruzione, tanto più si converge sul consenso scientifico, magari i laureati sono più scettici e meno creduloni ma qui tra Rep. e Dem. c’ è un movimento opposto nelle percentuali. Eppure, se guardiamo a questi dati da un’ altra angolazione, tutto prende senso: tra i laureati la percentuale di militanti è molto più elevata che tra i non-laureati e questo è confermato dalle ricerche che riscontrano una maggiore “polarizzazione” politica tra gli “istruiti”. Nel caso di specie, quindi, la forte divergenza sarebbe da attribuire a bias ideologici…
Non da ultimo, diciamolo, il Partigiano è spesso persona sgradevole, la sua “sordità” infastidisce. Va bene, è giusto riconoscergli una “funzione sociale”, ma questa spetta anche alla prostituta e all’ usuraio, passare dal “riconoscimento” all’ elogio è un salto mortale doppio, c’ è il rischio di rompersi il collo.
Certo comunque che se giudico dalla mia esperienza i sorprendenti dati della Rosenblum escono abbastanza confermati.
Di fronte a qualsiasi diatriba ritrovo puntualmente tre gruppi di persone: 1) gli indipendenti superficiali che affrontano il problema giusto al bar come pretesto per socializzare 2) i militanti che hanno una passione morbosa e che cercano di realizzarsi come paladini della verità 3) gli indipendenti sofisticati tutti indaffarati nell’ attribuire priorità e pesi in modo da bilanciare torti e ragioni.
Chi appartiene alla categoria 1 offre solo un interesse simulato e fuggevole alle questioni, i problemi non vuole risolverli ma solo scacciarli dalla propria mente, oppure esibire in pubblico la propria personalità, oppure li usa come pretesto per socializzare. Il passaggio da 1 a 2 si compie, in genere, quando siamo toccati personalmente da cio’ di cui parliamo. Il passaggio da 2 a 3 comincia quando cessa la paura del “nemico” – il che va di pari passo con una crescente sicurezza delle proprie posizioni - e si desidera approfondire il suo punto di vista, magari per meglio rintuzzarlo.
Vogliamo quantificare questi tre gruppi? Fatto cento il campione, il gruppo 1) conta settanta membri, il 2) venticinque e il 3) cinque.
Bè, se i numeri sono davvero questi – e io li trovo plausibili – le generalizzazioni della Rosenblum, anche se controintuitive, non sono campate in aria. Resta da valutare il fatto se un “interesse morboso” sia meglio di un “interesse simulato” o di un “disinteresse”. Probabilmente lo è solo quando rappresenta una tappa verso ulteriori sviluppi.
Chiudo con due considerazioni, spero non troppo fuori tema, frutto ancora della mia piccola esperienza. In esse rivaluto la partigianeria, ma in ambito culturale più che politico.
A.
Quando leggo un libro trovo utile porsi con un atteggiamento di sfida: “io la penso così, prova a convincermi del contrario se ci riesci”. Sarebbe impossibile lanciare seriamente queste sfide se la faziosità fosse bandita.
B.
E’ buona pratica, dopo essere stati “catechizzati” da chi ne sa più di noi, chiedere: “mi puoi citare un paio di personalità che rispetti e che su questo stesso tema sostengono tesi antitetiche alle tue?”. Conoscere visioni differenti illumina la visione che ci viene propinata e aiuta a giudicarla.
Recentemente ho fatto questa domanda alla psicologa dell’ asilo dopo l’ incontro che abbiamo avuto sui temi educativi. Mi ha sorriso ma non mi ha risposto (forse non era la sede per impelagarsi in certi discorsi). Me lo sono fatto bastare.

giovedì 10 gennaio 2013

Spesa pubblica: conoscerla per tagliare meglio

Benchmark: Germania.

http://noisefromamerika.org/articolo/come-dove-ridurre-spesa-pubblica-esercizio-benchmarking

http://www.brunoleonimedia.it/public/Papers/IBL-SR-Spesa_Pubblica.pdf

http://chiarodiluna-karl.blogspot.it/2013/01/la-spesa-pubblica-italiana.html

Perché non si taglia la spesa pubblica?

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-10/perche-fanno-tagli-spesa-063551.shtml?uuid=Ab7xdqIH&fromSearch

martedì 8 gennaio 2013

Film visto ieri: La carica dei 101

Menzione speciale alla sigla di testa: grafica optical (le “macchie” si prestano) e musiche schizoidi.

Scatta il ricordo di di Carl Stalling, compositore sottovalutato che John Zorn sdoganò sul finire del secolo scorso. Suoi gli esplosivi commenti musicali ai rapsodici cartoni della Warner.

Il film presenta due civiltà: quella canina e quella bipede, sorprende quanto poco comunichino tra loro. La prima appare comunque superiore.

Tra i cattivi, Crudelia è passata negli annali (il suo clacson fa compagnia a quello di Bruno Cortona), ma io prediligo il segaligno Gaspare (sarà per la voce vellutata di Walter Matthau).

A proposito dell’ inetta coppia Gaspare-Orazio, in almeno due scene (l’ irruzione maldestra in casa altrui e le sedute alienanti davanti alla TV in compagnia dei rapiti) richiamano i villain di Fargo.

Il personaggio di Ronnie, cagnolino obeso che dice sempre “mamma ho fame”, oggi, nella società medicalizzata, non sarebbe praticabile. La sua condizione è da considerare patologica e da esibire solo col filtro di robusti eufemismi.

carica

sabato 5 gennaio 2013

I benefici dell’ ingiustizia

Nel corso delle feste natalizie ho letto un libro mica male: Una donna di cuore, di Alice Munro.

Qui riserverò la mia attenzione solo al primo racconto della silloge nella speranza di dare un’ idea approssimativa di questa autrice contemporanea in odore di Nobel da parecchi anni.

Una letterata affida il suo messaggio allo stile ed è difficile rendere uno stile a parole, la cosa migliore, in casi del genere, consiste nell’ accumulare citazioni dirette e indirette, ed è proprio quello che farò.

C’ è stata un’ epoca in cui “senso del dovere” e “lealtà alla parola data” erano vissuti alla stregua di gabbie claustrofobiche da cui evadere alla ricerca di esprimere una più autentica “spinta vitale”. Oggi, in tempi di corruzione e volgarità diffusa, la cosa puo’ apparire singolare ma chi viene da una cultura puritana sa bene di cosa parlo. Noi cattolici, per capire meglio, possiamo ricorrere alla buona letteratura, a cominciare da questa prova della Munro.

***

Ma partiamo pure con la storia. Nella prima parte alcuni ragazzini scoprono il cadavere del Sig. Willens in una palude.

La loro è un’ escursione in stile “stand by me” con uno scopo ben preciso:

… poter raccontare di aver nuotato nello Jutland prima ancora che si sciogliesse tutta la neve per terra…

Un nevaio “basso e testardo” rende meno proibitiva l’ impresa.

Ho detto “nuotare”? Diciamo meglio “agitare scompostamente gambe e braccia per fuggire poi frettolosamente a riva”. Tanto l’ importante è:

… il sollievo di sapere vera la propria fanfaronata…

Se nel racconto c’ è un leitmotiv, questi è “la schiavitù che impone il dovere della sincerità”.

Inutile precisare che l’ ambiente non è cattolico ma puritano. Enid, l’ eroina della Munro, sembra  uscita da un racconto di Flannery al solo scopo di fiondarsi in un film di Van Triers.

Il gran finale sarà costruito intorno alle capacità catartiche della bugia, o meglio, della reticenza:

… quanti benefici poterono sbocciare dal suo silenzio… era in quel modo che si rendeva abitabile il mondo…

Ma torniamo ai ragazzi, sulla via del ritorno, forse galvanizzati dal segreto che custodiscono, fanno mille progetti sul futuro sognando a occhi aperti:

… nessuno sembrò accennare agli impegni scolastici…

Durante queste gite i nomi propri dei protagonisti sembrano banditi:

… per attirare l’ attenzione reciproca si limitavano a dire “ehi”…

L’ infanzia “campagnola” mi facilita nel capire le risonanze di questo passaggio. Da un lato provo il piacere di cogliere una sfumatura, dall’ altro l’ inquietudine di chi constata che se le allusioni sono tanto sottili, per una che ne intercetti, dieci te ne sfuggono.

Veniamo alla lezione numero uno di una qualsiasi scuola di scrittura creativa: la condizione psicologica dei personaggi deve essere resa solo mediante la descrizione di comportamenti. L’ esempio in corpore vivi qui si sostanzia nei bimbi che tornano in paese latori della ferale notizia:

… sulla via del ritorno camminarono in fretta. Di quando in quando accennavano a un trotto, senza mai rompere in una corsa vera e propria… oppressi dal peso della meta e dal dovere da compiere…

Il paese: bisogna figurarsi i paesi di una volta, quelli in cui la gente si saluta e saluta anche i bambini, forse per rispetto ai genitori:

… replicando i ragazzi non si degnavano mai di alzare lo sguardo oltre la borsetta delle signore e il pomo d’ Adamo degli uomini…

In famiglia. A pranzo. I due criteri da osservare prima di servire in tavola un paio di uova:

… nere di pepe e rugginose sugli smerli…

Abbozzo del tradizionale papà alticcio sempre a caccia di un pretesto per pestare. Mi ha colpito la fenomenologia della sberla: prima ti dice “fai il furbo eh? Meglio se fai attenzione…”:

… dopodiché, se gli restituivi lo sguardo o magari se non glielo restituivi, se posavi la forchetta o magari se proseguivi a mangiare… era facile che lui intonasse il breve ringhio che precede lo scatto del corpo…

Dopo le botte furiose ando-cojo-cojo (mamma compresa) e la casa a soqquadro, qualcuno suona sempre il campanello (di solito un amico del bar). Lui apre inventandosi un’ ilare fesseria che giustifichi sommariamente lo strepito appena cessato:

… non gli importava essere creduto. Diceva così per trasformare in burla tutto quanto accadeva in famiglia…

Poi se ne andava al bar, ma anche quando non era più in casa permaneva sempre il ricordo e la minaccia della sua presenza pazzoide.

Intanto, in quelle stesse case, le mamme dai ricci “lucidi come lumache” andavano perdendo le forze giorno dopo giorno limitandosi a dire: “mi preparo una borsa d’ acqua calda e me ne torno a letto”:

… lo ripeteva praticamente sempre, ma lo annunciava ogni volta come fosse un’ idea improvvisa…

E i bimbi cominciano a scoprire la vita annusando… la mamma…

… quell’ odore invitante e nauseabondo della sua biancheria intima…

Altrove, presso focolari più civili, i genitori mostrano invece “una severità esperta” e soprattutto non modificano il proprio atteggiamento una volta entrati in casa. Oltre a cio’, le mamme non giudicano i comportamenti dei figli solo in base agli effetti sui padri. Ma queste sono case in cui non si allestiscono nemmeno brande in sala da pranzo.

Una parola va spesa per la collocazione temporale della storia. La Munro ama i passati non troppo remoti, l’ ideale per far risuonare la nota melanconica che ha nelle corde. Qui, per esempio, siamo nell’ epoca in cui…

… i Sabati erano ancora un avvenimento…

 

I ragazzi si decidono a denunciare il loro macabro ritrovamento ma l’ operazione sfuma. E’ Bud, il più ciarliero, a mandare all’ aria tutto quanto. Quando lo sceriffo ancora sonnecchiante si alza in piedi dietro la scrivania, gli viene naturale rettificare l’ esordio preparato sostituendolo con queste parole:

… ha la bottega aperta…

Per poi scappare trattenendo una risata convulsa.

Mi è piaciuto molto anche il passaggio in cui i ragazzi interrompono discretamente il classico “sonnellino sul lavoro” dello sceriffo:

… la sua espressione impiegò un attimo per mettere a fuoco il luogo, l’ ora e le persone. Poi estrasse di tasca un vecchio orologio, come se contasse sul fatto che i ragazzini vogliono sempre sapere che ora è…

***

Nella seconda parte del racconto la badante Enid assiste la Sig.ra Queen (27 anni) fino alla fine dei suoi giorni.

puritan-woman

Mi sembra giusto dire fin da subito che Willens fu ucciso da Rupert, il marito della Sig.ra Queen, dopo essere stato sorpreso a fare lo sporcaccione con la moglie. Enid lo apprenderà dalla signora stessa che ricorda molto bene quel giorno:

… l’ odore dei vestiti zuppi di sangue bruciati nel camino dette alla signora un voltastomaco tale da indurla a credere che il suo star male iniziò da lì…

Ma andiamo con ordine: la Sig.ra Queen è una malata impegnativa:

… anche nel corso della conversazione più banale si mostrava enormemente esigente e tesa…

Per quanto nessuno dei due fece mai accenno a questo fatto, Enid ricordava bene Rupert, il marito della malata era stato suo compagno di scuola:

… quello era esattamente il sorriso che sfoderava Rupert al tempo del liceo, per difendersi da possibili prese in giro…

Enid e le sue amiche lo punzecchiavano continuamente; era per loro piacevole…

… guardargli il collo farsi rosso…

Perché allora volevano vederlo umiliato?

… solo perché avevano il potere di farlo…

Lui era al banco proprio di dietro e quando capitava che le appoggiasse un dito sulla spalla per richiamare la sua attenzione e chiedere un suggerimento…

… lei si sentiva… perdonata…

Ora l’ abbronzatura del contadino aveva preso il posto dei rossori.

Alle amiche di scuola è infine riservato il ricordo di un ricordo:

… successivamente ne aveva aiutate alcune a partorire in casa per ritrovarle piegate nella loro sicumera…

I rapporti con la malata. Enid, tanto per allentare la tensione, racconta alla Sig.ra come lei e sua madre se la cavassero benissimo anche senza uomini in casa…

… intendeva buttarla sullo scherzo ma non funzionò…

I malati vanno sempre presi un po’ in giro:

… crede forse che non abbia mai visto un sedere prima d’ ora?…

I malati hanno il vizietto di ripetere a voce alta quel che pensano che gli altri pensino:

… ma quando la farà finita questa qui?… quando potremo finalmente buttarla via come un gattino morto?…

Sapeste quanta energia preziosa sprecano i malati per inveire contro i sani! L’ acrimonia trasfigura la loro fisionomia e ce ne vuole prima che si sistemino sui binari della loro agonia.

… tornavano a galla antiche faide, vecchie rampogne e persino un castigo ingiusto subito settant’ anni prima…

Le tette della malata:

… piccole sacche vuote con due acini d’ uva passa come capezzoli…

***

Qui cade un inciso fondamentale dove si narra di come Enid dovette rinunciare al sogno della sua vita: diventare infermiera professionale. Mentre il padre moriva all’ ospedale di Walley, le disse con tono calmo e razionale (era un agente immobiliare): “non mi piace che tu possa lavorare in un posto come questo”.

… si era messo in testa che il mestiere di infermiera rendesse la donna volgare… la dimestichezza con la nudità maschile modificava una ragazza così come modificava la considerazione che avrebbero avuto gli uomini di lei…

Il Padre chiede dunque a Enid, già avviata in modo  promettente a quegli studi, di rinunciare.

Il carattere della madre di Enid è vividamente descritto riportando la sua reazione alla richiesta, non occorre altro:

… Eh dài. Tu promettiglielo. Che differenza vuoi che faccia?…

Enid la ritenne una frase sconvolgente ma non fece commenti, era coerente con il modo che aveva sua madre di vedere un sacco di cose.

Rinunciò agli studi dedicandosi unicamente ai moribondi (quello non poteva essere considerato un lavoro da infermiera):

… e così, senza intoppi di sorta, ancora giovane, scivolava dentro quel ruolo essenziale, socialmente cruciale, ma anche solitario…

E adesso, eccola lì la nostra Enid:

… impegnata a consumare la vita fingendo che non fosse così…

***

Il marito della malata, ovvero l’ assassino, è un contadino, uno che a furia di lavorare non riesce più a levarsi di dosso il sudore invecchiato:

… uno con cui ha senso scambiarsi solo frasi frettolose e esclusivamente di ordine pratico…

Per convivere con tipi del genere è necessaria la conoscenza di certi codici, fortunatamente Enid li domina:

… e lei gli chiedeva se avesse voglia di una tazza di tè… naturalmente lui rispondeva che non era il caso, e lei glielo preparava lo stesso intuendo che quella risposta poteva benissimo coincidere con un sì espresso secondo le buone maniere di campagna…

Guardandolo ora era davvero impossibile immaginarselo sottolineare con la penna rossa “l’ editto di Nantes” mettendoci accanto la nota N.B.

I sogni della protagonista in quel periodo – lei li chiamava “lerciume mentale” - sono squisitamente puritani:

… atti sessuali o tentativi di atti sessuali (talvolta impediti da intrusi o improvvisi cambi di scena) con partner assolutamente proibiti o impensabili. Grassi neonati, o pazienti fasciati da bende, o sua madre…

Si risvegliava restando nel letto come una carcassa vuota. Finché la vera Enid, con tutta la sua vergogna e la sua incredulità, tornava a scorrerle nelle vene…

Per la Sig.ra Queen si avvicina la fine; breve visita (indotta) del rude consorte alla malata:

… Enid pensò di eclissarsi sulla veranda ma faceva troppo fresco, temeva di sentire involontariamente discorsi intimi, magari l’ accenno di una lite…

Due giorni prima della morte, Enid è padrona della situazione:

… una meno esperta di lei l’ avrebbe creduta morta…

Il giorno pima:

… l’ energia tornò a fluire nel corpo della malata in quel modo innaturale e ingannevole… la signora volle sedersi appoggiandosi ai cuscini…

Il giorno della morte.

Una “badante terminale” sa sempre qualche giorno prima quale sarà il giorno della morte, ovvero:

… il giorno in cui verrà offerta dell’ acqua che non sarà più considerata…

Enid fece dormire le due bambine della moribonda di sotto:

… si ricorderanno per sempre di aver dormito quaggiù…

Ci si ricorda sempre di quando da piccoli si è dormito in un posto diverso dal solito. Per Enid era importante fare di quel giorno un giorno speciale.

Tra le immagini allucinate dell’ agonia anche quella del corpo di Willens appena reduce dal pestaggio ricevuto:

… niente tagli né lividi… forse era ancora presto… la roba che gli colava dalla bocca non era nemmeno sangue… era rosa…

Il giorno dopo la morte.

Enid annuncia che se ne andrà nel pomeriggio:

… ora che i parenti, sollevati dall’ imminente partenza di chi stava così saldamente al timone della casa, si sentivano con le mani libere, cominciarono a fioccare i complimenti…

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Nel finale, Enid, ormai tornata a casa sua deve decidere se mettere Rupert di fronte alla sua colpa. Una decisione travagliata:

… girarsi nel letto e muovere il corpo le scombussolava tutte le informazioni che aveva nella testa… per cui cercava di farlo il meno possibile...

Enid sa benissimo che chi sbaglia deve essere punito ma soprattutto sa a memoria il perché:

… per quanto si sta male altrimenti dentro di sè… se fai una bruttissima cosa e non vieni punito stai peggio, molto peggio che se vieni punito…

Enid si prepara per tornare alla casa del vedovo:

… si puntò i capelli con una treccia e si mise la cipria… le parevano cose tanto superflue, quanto irrinunciabili…

La conversazione di Rupert è, come al solito, afasica:

… a bloccarlo, quella volta, era lo stupore più che l’ ostilità…

Il finale della storia è ambiguo ma prevale la sensazione che per la prima volta in vita sua Enid non abbia “dato corso alla Giustizia”. Il passaggio chiave da cui si evince tutto cio’ l’ ho già citato ma vale la pena di ripeterlo:

… quanti benefici potevano sbocciare dal suo silenzio… era in quel modo che si rendeva abitabile il mondo…

L’ ultima immagine che ci viene data di Enid:

… era scoppiata a piangere. Non per dolore, ma per l’ ondata di sollievo che nemmeno sapeva di aver cercato.

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Il libro si chiude ma tante domande restano aperte. Qualche esempio.

Enid ha rinunciato definitivamente ad agire contro Rupert?

Penso proprio di sì, anche se il racconto si chiude con i due che ancora discutono.

Enid “rinuncia” a fare giustizia per un senso di colpa che risaliva ai tempi del Liceo? Oppure il suo inatteso “lassismo etico” è una scelta a tutela delle figlie di Rupert?

Penso proprio di no. Enid vuole rompere l’ ossessione per la “schiena dritta” e la “rettitudine inflessibile” che le viene dalla sua cultura puritana: cio’ che ha rovinato la sua esistenza non deve fare ulteriori danni.

Potrei proseguire, ma ce n’ è già a sufficienza per una seconda lettura in cerca di conferme e/o rettifiche sulle ipotesi formulate.

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Per chiudere due parole sull’ autrice, che poi sono due parole sull’ eterna questione delle genealogie.

C’ è un lato “mostruoso” nelle eroine della Munro, per questo mi è venuto da evocare le stramberie di Flannery e le ossessioni di Lars. Ma sarebbe una genealogia sbagliata poiché dimentica una figura di riferimento come Henry James. L’ omaggio al romanziere americano si sostanzia innanzitutto nella qualità enigmatica dei racconti: li leggi con la sensazione che presto o tardi qualcuno ti metta al corrente di notizie sconcertanti (e per un lettore è una sensazione piacevole). Poi c’ è la nota melanconica della voce narrante che sembra dire a ogni rigo: il tempo che passa lascia di te sempre qualcosa in meno e mai qualcosa in più.