giovedì 26 luglio 2012

Incubo

INCUBO N. 1: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara Umanità, tra poco lancerò questa moneta, se uscirà testa ti estinguo all’ istante, se uscirà croce me ne vado così come sono arrivato.

INCUBO N. 2: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara umanità, per ognuno dei tuoi membri lancerò una moneta: se esce testa macellerò il prescelto, se esce croce lo lascerò vivere. Dopo il settemiliardesimo lancio me ne andrò lasciandovi a piangere i vostri morti.

INCUBO N. 3: Godzilla scende sulla terra e in un incontro a quattr’ occhi ti descrive gli scenari dell’ INCUBO N. 1 e dell’ INCUBO N. 2. Poi annuncia: tra i due ti concedo graziosamente la libertà di scegliere quello che più ti aggrada, dopodiché procederò a realizzarlo.

monster

Probabilmente il “moralista verde” (*) Michele Serra sceglierebbe l’ INCUBO N. 1, ricordo ancora come giustificò la recensione positiva del film “Galline in fuga”: “è un film edificante poiché ci insegna che o ci salviamo tutti o non si salva nessuno”.

Io, invece, propendo per l’ INCUBO N. 2, non so neanche bene il motivo.

Certo che in questi casi le risposte “immotivate” sono le migliori poiché, probabilmente, sottendono una professione morale sincera: i valori dichiarati “a nostra insaputa” sono i più autentici, diffidate dei “valori” che la gente sbandiera o si appunta al petto come medaglie.

Se poi penso più razionalmente alla faccenda mi vengono in mente solo due motivazioni degne di nota.

Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 1: le vite perse in “1” sono qualitativamente pari alle vite perse in “2” ma le vite salvate in “2” sono “mezze vite” visto che ciascuno dei sopravvissuti vedrà, in media, perire in modo orribile la metà dei suoi cari. Ricordo che una motivazione del genere fu alla base di una controversa (figuriamoci!) “apologia del genocidio”.

Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 2: in “2”, oltre a garantire una quota di sopravvissuti si salvano anche le generazioni future. Qui bisogna aggiungere che per molti le generazioni future non vantano alcun diritto nei nostri confronti (non esistono!). Ma se fosse davvero così che senso avrebbero tanti buoni e sensati propositi volti a “salvare il pianeta”? Un quadrato “moralista verde” (**) non mancherebbe di optare per “2”.

(*) “verde” nel senso di “specializzato in questioni di invidia”.

(**) “verde” nel senso di “specializzato in questioni ambientali”.

martedì 24 luglio 2012

Brutture presentabili

 Colours (Donovan/Van Dyke Parks)

… quando perfino Donovan puo’ essere “coverizzato” meravigliosamente…

BURNT SUGAR (BURNT SUGAR)

… tra il bullismo dei fiati e il vittimismo delle tastiere…

Les collines d'Anacapri (claude debussy)

… quando l’ esotismo siamo noi…

Warholian Wigs (Dirty Projectors )

… ci sono quadri che migliorano se guardati con gli occhiali sporchi…

hey joe (Liz Green)

… il femminicidio più famoso della storia del rock trasformato in mascolinicidio…

LASIK (Matmos)

… a qualcuno piace fritto…

Award The Squadett  (Henry Threadgill )

… e pensare che una volta sti jazzisti erano debolucci sulla parte scritta…

Penelope Home (Sarah Kirkland Sniider)

… canzoni avvolgenti come plaid…

Let X = X It Tango (Laurie Anderson )

… aperitivo con l' androide…

Small Wonder (Baby Dee)

… con tanto di uccellini (che fa molto “idillio”)…

Momentary Expanse (Tristan Perich )

… voglio un mondo senza swing…

Le Banquet Celeste+ Poland (Olivier Messiaen/M...)

… saliamo insieme la scala di Elia…

For Ann (James Tenney)

… dichiarazione d’ amore (di un robot)…

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http://www.goear.com/playlist/ac9d472/bulli/ 

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Dentro:

… pietre che rotolano sul posto…

pietre volanti

… brutture presentabili…

brutture presentabili

… fotografie mediterranee…

immagini mediterranee

… mondi in miniatura…

mondi in miniatura

… gioie domestiche…

 rassettare con gioia

… minacce fino a ieri impensabili…

Easter Egg Hunt

… la giusta leva per sollevare il mondo…

ricerca della giusta leva

… dichiarazioni d’ amore truculente…

dichiarazioni d' amore truculente

… dichiarazioni d’ amore elettrizzanti…

romantici corto circuiti

… memorie di una palla domestica fatta dalla mamma e presa a calci per una vita…

la palla di casa prende vita

… giochi pericolosi con l’ azoto liquido…

giochi pericolosi con l' azoto liquido

… ambientalismo insostenibile…

ambientalismo insostenibile

… arte in saldo…

arte in saldo

venerdì 20 luglio 2012

Oggi parliamo d’ arte

Partiamo con tre domandine da nulla:

A. Cos’ è l’ arte?

B. Cosa distingue un oggetto artistico da un oggetto non artistico?

C. Cosa distingue l’ opera di valore?

Nel 1746 Charles Batteux rispondeva diligentemente:

… l’ arte è una presenza piacevole che imita la natura…

 

Di acqua ne è passata sotto i ponti e simili affermazioni suonano superate, cosicché le questioni tornano impellenti.

A questo genere di interrogativi, il profano reagisce sempre allo stesso modo: lo so, ma se ci penso non lo so più.

Brutto segnale: le difficoltà più aspre si presentano sempre in questa forma! Al punto che non manca mai chi rinuncia a dipanare la matassa, e magari accompagna il suo disimpegno citando il protettore (suo malgrado) dei “pigroni intellettuali”, San Wittgenstein: cio’ di cui non si puo’ parlare, si deve tacere.

Per costoro le “domande di senso” dovrebbero essere accantonate. In effetti c’ è da chiedersi se siano  importanti e se in merito non ci sia un modo soddisfacente  per barcamenarsi tra “bolle parolaie” e “pigrizia intellettuale”.

Di sicuro tacere e girarsi dall’ altra parte non produce l’ inconveniente temuto da molti: il mondo non soffrirà certo di penuria d’ opere d’ arte per il semplice fatto che non sappiamo cosa sia l’ arte; così come lo scienziato si puo’ disinteressare al senso ultimo del suo lavoro (e spesso è auspicabile che lo faccia), lo stesso dicasi per l’ artista;  Barnett Newman lo aveva capito:

… L’ estetica sta agli artisti come l’ornitologia sta agli uccelli…

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Ma perché questo pessimismo quando c’ è un motivo potente per non gettare la spugna? Oltretutto un motivo semplice: il lavoro è già stato fatto, esiste sul punto un solido consenso tra gli esperti.

Vediamolo:

A. L’ arte non “esprime”, non “imita” ma “rappresenta”.

B. L’ oggetto d’ arte non ha peculiarità “formali” o “percettive” ma solo “contestuali”: è il contesto che conferisce statuto d’ arte a un prodotto.

C. Il valore di un’ opera si calcola soppesando le influenze effettive e potenziali sprigionate dall’ opera in relazione alle intenzioni dell’ artista e degli esperti che agiscono in quel contesto.

E vediamo anche il “precipitato” di queste risposte:

1. risolto brillantemente il problema: “ma questo lo sa fare anche mia figlia”;

2. risolto il problema dello “sgradevole” nell’ arte;

3. risolto il problema della comparazione tra generi;

4. risolto il problema di definire l’ arte evitando di mettere da parte interi secoli di storia dell’ arte;

5. cio’ che costituisce “opera d’ arte” puo’ essere formalmente e percettivamente indiscernibile da cio’ che non è tale;

6. giudicare opere nate con prospettive ideologiche e sfondi culturali differenti applicando il medesimo criterio di giudizio conduce a gravi travisamenti;

7. approntato solido baluardo per sbarrare la strada a formalismo, strutturalismo, decostruzionismo e ogni altra “deriva relativista” dell’ analisi estetica;

8. se il contesto è decisivo, concentrarsi su pochi artisti ottunde il giudizio poiché il giudizio è essenzialmente un confronto ampio tra opere e artisti in rete tra loro (predecessori, coevi, epigoni);

9. nella costruzione di una sapienza critica il “tempo dedicato” all’ opera vince sulla mera “analisi formale”: poiché l’ analisi formale dell’ opera non è in grado di produrre un giudizio estetico attendibile, diventa centrale l’ alternativa a questo approccio: frequentare intensamente e a lungo l’ opera immergersi in essa per entrare in contatto con le molte variabili ambientali che la influenzano e che lei influenza.

10. l’ arte di valore assume e ricrea un ethos nella popolazione e nelle élites ad essa contestuali.

11. un ruolo decisivo è giocato dall’ esperto, ovvero da colui che 1. dedica tempo e attenzione nel tentativo di collocare l’ oggetto artistico nel suo contesto e 2. costituisce a sua volta il contesto privilegiato in cui si colloca l’ opera;

12. un giudizio improntato al gusto (bello! brutto!) non è mai un giudizio estetico fondato;

13. perfino l’ ossessione biografica di diana è riabilitata; sul punto sono dunque chiamato a rivedere le mie posizioni, lo faccio con piacere;

Si potrebbe proseguire con l’ elenco, oppure si potrebbe passare alla pratica con qualche “provocazione” specifica: che peso dare al fatto che Bach sia stato dimenticato per secoli, o al fatto che Brahms abbia tanto insistito su una forma rivelatasi storicamente perdente come la sonata, o al fatto che… Ma non mettiamo troppa carne al fuoco.

Non facciamolo anche perché resta un’ altra imbarazzante questione a cui rispondere.

D. A cosa serve l’ arte?

Qui tendiamo a scantonare, abbiamo l’ impressione di “perdere” qualcosa di prezioso guardandola troppo da vicino. Il modo più goffo di scantonare consiste nel sostenere che l’ arte non è mai servita a nulla (l’ art pour l’ art).

La musica, per esempio, a cosa serviva?

Le funzioni originarie ipotizzate sono tante: sottofondo, evasione, autodisciplina, memoria, riflessione, creazione di legame sociale…

Il guaio è che qualsiasi funzione si ipotizzi ci si chiede se non esistesse un modo più “economico” per assolverla.

Esempio: la funzione che raccoglie più consensi tra gli studiosi è quella relativa al “social bonding”: ma non bastava un “giuramento” o qualcosa del genere per legarsi al gruppo? Dovevamo proprio imbarcarci in un simile dispendio di energie? Dovevamo proprio mettere in piedi “rituali” tanto complicati?

Possibile risposta: tutti sappiamo mentire con le parole, pochi lo sanno fare con le emozioni.

Insomma, la musica nascerebbe – non esistevano ancora le intercettazioni e altri metodi sofisticati d’ indagine - come assicurazione sociale contro  simulatori, opportunisti e infiltrati. La musica come primitiva “macchina della verità”, la musica come regno della sincerità. Certo che se a contare è la sincerità, capiamo meglio perché un linguaggio del genere sia disposto a sacrificare la precisione.

lunedì 16 luglio 2012

Oggi parliamo di sesso

C’ è chi sostiene che la diffusione di pornografia calmieri la violenza sessuale, francamente non saprei fino a che punto simili correlazioni siano fondate. Di sicuro, quand’ anche la fruizione di pornografia mitigasse la pratica dello stupro, sarebbe comunque una soluzione “ripugnante”, almeno per molti.

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La pornografia ci imbarazza, perché? Vediamo se puo’ aiutarci a capirne i motivi il contributo di una femminista eretica come Wendy McElroy:

… la pornografia è sesso più mercato, quale delle due cose non vi va bene?…

Vediamo allora separatamentente le due “cose”.

MERCATO:  dietro uno scambio ci sono sempre motivazioni egoistiche e il sesso mal si coniuga con l’ egoismo.

C’ è chi ci crede ma io, francamente, non ne sono convinto.

E’ difficile pensare che un uomo non “coniughi” le due cose ma anche per le donne probabilmente vale la stessa cosa, soprattutto quando le ricerche più attendibili in tema ordinano così le motivazioni  per cui una donna si concede:

1. voglia di concretizzare un’ attrazione;

2.  voglia di sperimentare un piacere fisico;

3. voglia di sentirsi bene;

4. voglia di dimostrare il proprio affetto a una persona;

5. voglia di esprimere il proprio amore a una persona;

6. voglia di dare sfogo a una fascinazione;

7. voglia di dare sfogo a un’ eccitazione;

8. voglia di divertirsi;

9. voglia di concretizzare un amore;

10. impossibilità di trattenersi;

11. voglia di compiacere il proprio compagno;

12. voglia di intimità;

13. voglia di un piacere puro;

14. voglia di avere un orgasmo;

15. voglia di avventura;

E mi fermo qui. Sono motivazioni vere? Di sicuro sono esibite, e quindi di esse non ci si vergogna. Ebbene, a essere generosi solo la motivazione all’ undicesimo posto (e forse quella al nono) lascia trapelare una qualche forma di altruismo.

SESSO: il sesso disgiunto dall’ amore per noi è tabù.

Chi è disposto a crederlo nel 2012? Scommetto che molti, almeno a parole, lo negherebbero con forza.

Oltretutto, è una tesi ben strana vista la “tradizione” che ci ha partorito: bonobo e scimpanzé vivono in promiscuità dedicando gran parte della loro giornata al sesso; probabilmente, lo stesso dicasi per il nostro antenato, l’ uomo cacciatore/raccoglitore. In un certo senso i capelloni della comune anni sessanta erano molto più fedeli alle tradizioni rispetto al gentleman vittoriano tutto impegnato a rispettare e onorare quella “moda recente” (meno di 10000 anni) che sono i vincoli di fedeltà.

Tale “moda neolitica” nei millenni più vicini a noi ha ricevuto l’ avallo e l’ impulso della Chiesa Cristiana, sempre protesa a salvare l’ anima dei fedeli e a tutelare la condizione femminile.

Il binomio “matrimonio d’ amore” e “sesso amoroso” è infatti il grande dono elargito dalla Chiesa Cristiana alla donna: vincolare il sesso maritale all’ amore significava rendere tabù ogni forma di contrattualizzazione dei rapporti intimi, cio’ ha per conseguenza che la donna possa negarsi anche all’ ultimo istante. Naturalmente dò per scontato cio’ che viene confermato al bar come nelle Ivory Tower, e cioè che nel 90% dei casi è l’ uomo a cercare sesso o a lamentare poco sesso nel matrimonio. Questa possibilità di recedere arbitrariamente è una formidabile arma contrattuale all’ interno di un matrimonio poiché consente di far fronte via via a esigenze impreviste e imprevedibili: oggi la moglie vuole che il marito stia più in casa con i figli? Ecco che segnala la sua esigenza a letto standosene nel suo angolino mugugnando. Domani lei si sente soffocata dalla presenza continua del marito e auspica che lui le conceda più spazi? Ecco spuntare dispettosi mal di testa proprio sul più bello. Insomma, se la frequenza dei rapporti fosse fissata a priori (contrattualizzazione) questi trucchetti non sarebbero disponibili con grave nocumento per la sposa. Ma una simile ipotesi è inconcepibile una volta che la connessione sesso/amore viene consacrato dal tabù.

Conclusione: poiché un sentimento di tutela della donna nel matrimonio è ancora molto avvertito, non c’ è motivo di ritenere che un tabù inteso proprio a realizzare quell’ obiettivo si sia realmente indebolito nelle coscienze.

Per quanto si voglia apparire spregiudicati, penso che una simile sacralità sia avvertita ancora da molti, da qui la risposta a Wendy: è la parola “sesso” che imbarazza da morire chi non riesce a stare indifferente rispetto alla pornografia e ad accettarla come la normale rappresentazione di un’ attività umana.

martedì 10 luglio 2012

Storie lasche & Storie tese

A Cogne muore un bambino in circostanze tragiche? Ecco rispuntare nell’ inconscio collettivo i drammi euripidei con tanto di faretti scenografici orientati su Medea.

A Perugia si compie un assassinio tra giovani studenti? Ecco evocata la piccola strega venuta da un paese lontano a portare scompiglio nella sonnecchiante città.

Ad Arcore si danno feste pepate? Ecco saettare la lingua bifida del Drago divoratore di Vergini.

Al Sofitel di NY il capo del FMI disturba la cameriera di colore? Ecco che il rapace Capitale si avventa sull’ inerme Terzo Mondo.

Era tutta una balla? Ecco partire la sguaiata rivendicazione di diritti in favore del “socialmente subordinato”. [… ma quale diritto, in questo caso? Mah, in fondo è di secondaria importanza, un diritto lo si inventa sempre in questi casi… direi che il “diritto alla definizione retrospettiva di stupro indipendentemente dal consenso preventivo” puo’ andar bene, è previsto anche nei gender sudies…]

Qualsiasi cosa succeda, l’ importante è rappresentarla facendola entrare a forza in quelle “storie” che seducono l’ immaginario. I paradigmi non sono poi molti, giusto una decina. Scarsità, uguale semplicità, uguale attenzione delle masse assicurata.

Ma cosa c’ è che non va in quelle “narrazioni”? Nulla, c’ è piuttosto qualcosa che non va nel credere di decifrare il mondo mediante una “narrazione”.

Ogni giorno ciascuno di noi prende un sacco di granchi e la sterminata letteratura sulle lacune cognitive si incarica di spiegarci il perché e il per come: ormai c’ è un bias per tutti i gusti, ma forse, stranamente, manca il bias di tutti i bias: pensiamo che raccontare una “storia” aiuti a decriptare la realtà.

Non che manchino i caveat in merito a questo modo di procedere: c’ è chi s’ impegna a tempo pieno nel mettere il malvezzo alla berlina (vedi qui, quo e qua) ma si tratta di denunce “rimbalzate” sempre con la medesima contro obiezione: solo una “narrazione corretta” puo’ rimpiazzare una “narrazione scorretta”; in fondo la “narrazione” resta l’ unico strumento conoscitivo a nostra disposizione.

Argomento non peregrino, il discorso sulle alternative alla narrazione è cruciale e non sempre chiaro. Ecco allora i due cardini del resoconto anti-narrativo:

1. resoconto fondato sui costi opportunità – Il Mondo è pieno di realtà invisibili – chiamiamoli controfattuali - che, se raccontate, distruggerebbero il phatos della narrazione più avvincente. Eppure si tratta di realtà cruciali per capire come gira il fumo nel mondo in cui viviamo. Ogni nostra ammirevole decisione libera una miriade di silenziose contro-storie che riguardano i costi occulti, così come ogni comportamento abominevole è salvifico per molti che non vedranno mai narrata la loro vicenda. Immaginatevi se Dickens avesse raccontato le sue splendide fiabe “moderne” facendo i conti con la realtà invisibile (storia tesa n. 1):

 [youtube http://www.youtube.com/watch?v=NxBzKkWo0mo]

2. resoconto fondato sulla serendipity – Una buona storia ha bisogno di mettere in primo piano l’ “intenzione” di protagonisti, deuteragonisti e antagonisti. Eppure, un racconto attendibile della realtà è quasi sempre un racconto in cui l’ intenzione della gente ha poco spazio. Ora, la figura dell’ “eroe per caso” puo’ anche presentarsi saltuariamente, ma v’ immaginate che noia se fosse la norma? La regola è talmente ferrea che fatico a trovare eccezioni. Mi viene in mente giusto il Manzoni dell’ assalto ai forni: il suo resoconto letterario sembra coniugare  l’ arte con le leggi del reale come le apprende un pensiero rigoroso (storia tesa n .2):  

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=h9QEkw6_O6w]

venerdì 6 luglio 2012

Apocalisse

I cristiani colti, specie se “cristiani adulti”, sentono in modo palpabile che il loro status sociale diminuisce a vista d’ occhio quando in pubblico accennano all’ imminente fine del mondo e, persino all’ interno della comunità cristiana, sono visti con sospetto coloro che ne parlano con malcelato fervore.
Sarà forse per questo che fino a poco tempo fa era ben difficile sentir letta in chiesa una pagina della sublime Apocalisse. Senza contare che in quelle rare occasioni era il Prevosto che s’ incaricava nell’ omelia di scantonare il prima possibile dai temi più imbarazzanti.
Eppure, non è affatto facile cogliere appieno i motivi di una tale ritrosia. In fondo, noi tutti, cristiani e no, ci affacciamo sull’ universo e osserviamo sgomenti un silenzio che inquieta innanzitutto l’ uomo dalla salda ragione: ma come è possibile non incontrare nessuno visto che solo nella nostra minuscola via lattea esistono oltre 100 miliardi di stelle, ognuna con la sua brava dotazione di pianeti? Se davvero la vita è destinata per sua natura a svilupparsi e ad espandersi, Darwin docet, questo silenzio indica solo una cosa: oltre una certa soglia, le civiltà intelligenti sono destinate a collassare. In caso contrario, ci avrebbero già in qualche modo “contattati”.
Con questo non voglio negare la presenza all’ interno della comunità razionalista di una nutrita pattuglia di fulgidi ottimisti ben dotati quanto ad argomenti: costoro ci invitano a ragionare su quale sia l’ universo che con più probabilità ci ospita e rispondono rapidi anche per conto nostro: poiché siamo uomini, l’ universo più probabile è quello che massimizza la presenza umana, o, più in generale, la presenza di vita intelligente. Ergo: viviamo con molta probabilità in un universo in cui abbondano le civiltà marziane, sia le civiltà “inferiori” che quelle “superiori”, e se queste ultime non si fanno vive, avranno i loro motivi: forse coltivano valori mistici e si sono ripiegate su se stesse, forse ci hanno già contattato “imprigionandoci” in una simulazione, chi puo’ dirlo? Diamoci allora una calmata ed evitiamo drammi patetici, l’ Apocalisse non è un destino privilegiato ragionevole da preconizzare.
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Non mi convincono. Perfino un occhiale foderato di rosa avvisterà un gran numero di parti “devitalizzate” nel nostro Universo, anche perché, praticamente, conosciamo da vicino solo quelle! E’ vero, la nostra civiltà è rigogliosa e promettente, domani forse colonizzeremo il cosmo, eppure, inutile negarlo, siamo circondati da vaste zone morte molto meno “promettenti” della nostra, per usare un eufemismo. Ma soprattutto, a rigore, nemmeno possiamo dire se quelle regioni, un tempo, abbiano mai ospitato civiltà avanzate: per quel che ne sappiamo potrebbe essere benissimo così.
Se questo è vero (e chi puo’ negarlo!), esiste una facile formalizzazione del problema: ogni “quartiere immaginabile” dell’ Universo ha una sua vicenda evolutiva in cui, non si sa bene quando, prima o poi interviene la cosiddetta Barriera dell’ Estinzione destinata a far collassare ogni forma di vita ospitata. A volte questa barriera sarà posta all’ inizio del processo (mai nessuna forma di vita), a volte sarà posta in un futuro infinitamente lontano (mai nessuna forma di estinzione). Ma, per quanto ne sappiamo, in questa storia non esistono momenti privilegiati: la Barriera potrebbe collocarsi ovunque.
E nel nostro caso concreto (pianeta terra), dove possiamo ritenere che si collochi?
L’ ingenuo si abbandonerà a uno sconsolato “chi puo’ dirlo?”.
In realtà, a pensarci bene, possiamo dirlo eccome, e la risposta è inquietante.
Ironia della sorte, è proprio il canonico argomento ottimista a condannarci: laddove una popolazione progredisce in presenza di una Diga random che sbarra la vita (è il nostro caso), il momento che con più probabilità stiamo vivendo è quello che precede immediatamente lo sbarramento. Purtroppo, solo in quel momento si massimizza la probabilità di “esistere” e noi giudichiamo queste faccende avendo un’ informazione cruciale: “esistiamo”.
Conclusione: l’ Apocalisse ci attende ed è molto più vicina di quel che si crede comunemente; perché allora tanti imbarazzi nel dare un annuncio che, oltre a essere conforme alla fede, è terribilmente conforme alla ragione?

martedì 3 luglio 2012

Genesi

Robin Hanson ha deciso e i contratti sottoscritti giacciono ora al sicuro nella cassaforte del notaio: una volta morto si farà spiccare chirurgicamente la testa dal fresco cadavere in modo da preservarla surgelata in azoto liquido.

Per quanto tempo? Un secolo? Due, tre? Finché non sarà possibile “uploadare” i dati e le funzioni neuronali del suo cervello su una macchina adeguata. Quella macchina non sarà altro che il nuovo corpo di RH redivivo visto che “penserà”, “gioirà”, “soffrirà”… esattamente come avrebbe fatto lui.

Qualche mese fa il NYT si è occupato della vicenda puntando i fari sul lato pettegolo, ovvero il matrimonio mandato in crisi dalla decisione di cui sopra. Altri (pochi) sono entrati nel merito della complicata questione tecnica contestando la probabilità che qualcosa del genere possa mai avvenire. C’ è poi dietro una questione filosofica interessante quanto impervia. Gli spunti, a essere onesti, non mancano, ma in genere la reazione tipo dell’ uomo della strada è di segno ben diverso, qualcosa tra lo sdegnato e l’ ironico: non riusciamo proprio ad associare un uomo a un corpo tanto strano e questa difficoltà si tramuta spesso in rabbia e condanna. Una specie di paura dell’ ignoto, una xenofobia dovuta al tempo più che allo spazio.

TranshumanMichelangelo

Purtroppo ho verificato che anche in ambienti cattolici si oppone una certa idiosincrasia: non si riesce a discutere pacatamente la faccenda; eppure, lo confesso, nutrivo speranze in qualcosa di diverso: se la difficoltà risiede nell’ “immaginazione” intorno ai corpi, mi chiedo a questo punto come un cattolico pensi ai corpi stra-passati di Adamo ed Eva. Probabilmente, ammettiamolo, erano molto più stravaganti e “impensabili” del corpo stra-futuro di RH. Ecco su cosa si fondava la mia speranza: se c’ è qualcuno che in materia non difetta di “immaginazione”, costui dovrebbe essere il cattolico.